GIURISPRUDENZA

Autore: Laura Opilio E Luca Odorizzi
ASSINEWS 315 – gennaio 2020

L’11 novembre 2019 sono state depositate ben dieci sentenze della terza sezione della Corte di Cassazione (dalla n. 18985 alla n. 28994), che affrontano in maniera sistematica alcuni nodi cruciali in materia di responsabilità medico-sanitaria.

La data di pubblicazione non è casuale: undici anni prima, l’11 novembre 2008, le sezioni unite avevano pubblicato le celebri quattro sentenze cd. di San Martino (nn. 26972- 26973-26974-26975) che avevano ridisegnato il sistema del danno non patrimoniale, segnando un punto di svolta nella materia. Le dieci sentenze del 2019 si pongono il medesimo obiettivo di rielaborazione, sintesi e sistematizzazione che era stato proprio delle sezioni unite del 2008, tanto che i primi commentatori parlano di “nuovo decalogo di San Martino”.

L’intervento della terza sezione – preceduto da una accurata selezione degli argomenti da trattare – è volutamente di ampio respiro e, in senso lato, nomofilattico: astraendo dal caso concreto, le sentenze mirano a compiere un’opera di sistematizzazione, individuando i principi regolatori e i filoni interpretativi ritenuti corretti, al fine di ribadirli, ampliarli e perfezionarli.

Ne risultano una serie di regole generali che aiutano l’operatore ad orientarsi in un ambito – quello della medical malpractice – dove l’assicurazione riveste un ruolo centrale. Di seguito, senza pretesa di completezza, si illustrano brevemente i principi sanciti dalla Corte.

1) Risarcimento del danno da violazione dellobbligo di consenso informato (Cass. 28985/2019) Il paziente ha il diritto (oggi positivizzato dalla legge Gelli- Bianco, ma da tempo presente nell’elaborazione giurisprudenziale) di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché eventuali terapie alternative, al fine di garantire la libera e consapevole scelta. L’inadempimento dell’obbligo informativo da parte del medico può causare due diversi tipi di danni: un danno alla salute e un danno da lesione del diritto all’autodeterminazione. Tali danni non sono, tuttavia, in re ipsa.

Al riguardo la Corte individua diverse ipotesi, a seconda che l’omessa/insufficiente informazione sia relativa ad un intervento che:

a) ha cagionato un danno alla salute per condotta colposa del medico. In tal caso occorre distinguere il paziente, correttamente informato, avrebbe comunque scelto di sottoporsi all’intervento alle medesime condizioni (in tal caso sarà risarcibile il solo danno alla salute) oppure avrebbe scelto di non sottoporsi all’intervento (allora sarà risarcibile anche il danno da lesione del diritto all’autodeterminazione). L’onere di provare il rifiuto che sarebbe stato opposto al trattamento spetta al paziente;

b) ha cagionato un danno alla salute per condotta non colposa del medico. Se il paziente avesse scelto di non sottoporsi all’intervento, saranno risarcibili sia il danno da lesione del diritto all’autodeterminazione e sia quello alla salute;

c) non ha cagionato un danno alla salute e il paziente avrebbe comunque scelto di sottoporsi all’intervento: nessun risarcimento sarà dovuto;

d) non ha cagionato un danno alla salute del paziente, ma gli ha impedito di accedere a più accurati e attendibili accertamenti: sarà risarcibile il danno da lesione del diritto all’autodeterminazione.

2) Rilevanza dello stato di salute preesistente e liquidazione del danno (Cass. 28986/2019) La terza sezione affronta poi il tema della rilevanza di malattie o menomazioni preesistenti ai fini liquidazione del danno, distinguendo tre ipotesi.

a) Concause di lesione. Se la pree di malattie o menomazioni ha concausato la lesione della salute (ad es. un emofiliaco che subisce una piccola ferita), di essa non dovrà tenersi conto nella quantificazione e liquidazione del danno.

b) Menomazioni coesistenti. Se la preesistenza di malattie o menomazioni non ha aggravato la lesione sopravvenuta (le conseguenze dell’illecito sarebbero state identiche anche se la vittima fosse stata sana), anche in questo caso di essa non dovrà tenersi conto nella liquidazione del danno.

c) Menomazioni concorrenti. Se la preesistenza di malattie o menomazioni ha determinato l’aggravarsi della lesione (le conseguenze dell’illecito sono state più penose di quelle che si sarebbero verificate se la vittima fosse stata sana, es. il responsabile provoca l’amputazione della mano destra a chi aveva già perduto la mano sinistra), di essa si deve tenere conto nella liquidazione del danno.

In quest’ultimo caso, il danno va calcolato prendendo in considerazione il valore monetario (non quello percentuale) dell’I.P. risultante all’esito del sinistro e sottraendovi quello dell’I.P. preesistente all’illecito. Ad esempio, se l’invalidità è stata aggravata dal 60% al 70%, il risarcimento non sarà quello previsto per una I.P. del 10%, ma quello – assai maggiore – della differenza tra l’importo del risarcimento previsto per il 70% e quello previsto per il 60% di I.P.

3) Limiti alla rivalsa dellazienda sanitaria verso il medico (Cass. 28987/2019) La Corte afferma che di regola, la responsabilità da danno da malpractice va ripartita in parti uguali tra medico e struttura (principio evincibile dagli artt. 1298 e 2055 c.c.). La struttura (o il suo assicuratore), pertanto, non potrà agire in rivalsa nei confronti del medico per più del 50% dell’importo pagato a titolo di risarcimento.

Ciò vale anche nel caso di colpa esclusiva del medico: la condotta di quest’ultimo infatti si colloca nell’ambito del rischio della impresa sanitaria, che come riceve utilità dall’attività svolta dai sanitari, parimenti deve sopportarne gli eventuali danni (secondo il principio cuius commoda eius et incommoda).

La divisione paritaria della responsabilità può essere superata solo qualora la struttura – su cui incombe l’onere probatorio – dimostri che si sia trattato di un caso eccezionale di colpa inescusabilmente grave del medico.

Si noti che la sentenza riguarda un caso antecedente alla legge Gelli-Bianco. Per ipotesi successive all’entrata in vigore della legge, andrà tenuto conto anche dell’art. 9 della stessa, che limita le azioni di rivalsa della struttura sanitaria nei confronti dell’esercente professione sanitaria ai soli casi di colpa grave o dolo e, in caso di colpa grave, per un risarcimento non superiore al triplo della retribuzione annua.

4) Presupposti per la personalizzazione del danno biologico (Cass. 28988/2019) Per quanto concerne la c.d. personalizzazione del danno – ossia l’aumento della misura standard di risarcimento prevista dalle tabelle – la Corte afferma a chiare lettere che il Giudice può farvi ricorso solamente in presenza di conseguenze anomale e del tutto peculiari (tempestivamente allegate e provate dal danneggiato).

Per contro, le conseguenze dannose da ritenersi normali (ad esempio i pregiudizi alle attività quotidiane, personali e relazionali che qualunque persona con la medesima invalidità si ritroverebbe a subire) sono già ricomprese nel danno tabellare e non giustificano alcuna personalizzazione in aumento.

Il dictum della Corte pone un freno alla tendenza di parte della giurisprudenza, soprattutto di merito, a riconoscere in maniera quasi automatica la personalizzazione del danno non patrimoniale, dando luogo ad indebite duplicazioni risarcitorie.

5) Responsabilità della struttura per infezione nosocomiale. Liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale (Cass. 28989/2019) Il caso riguarda la morte di un paziente a causa di una infezione contratta durante il ricovero in ospedale. Al riguardo, la Corte ribadisce che l’accettazione di un degente presso una struttura ospedaliera comporta l’assunzione di una prestazione strumentale e accessoria – rispetto a quella principale di somministrazione delle cure mediche – avente a oggetto la salvaguardia della sua incolumità fisica e patrimoniale, quantomeno dalle forme più gravi di aggressione.

A livello di onere probatorio, il paziente deve dimostrare la riconducibilità causale del danno alla salute al fatto della struttura sanitaria (i.e. l’accettazione del ricovero), mentre incombe sul la struttura l’onere (bisogna dire, assai gravoso) di dimostrare l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, ossia da un impedimento imprevedibile e inevitabile con la ordinaria diligenza.

Quanto alla liquidazione del danno, la Corte chiarisce che al prossimo congiunto del paziente deceduto possano essere liquidati sia il danno da perdita del rapporto parentale che il danno morale o esistenziale, poiché il primo già comprende la sofferenza patita e lo sconvolgimento dell’esistenza conseguenti alla perdita di un proprio caro. Ancora una volta, dunque, la terza sezione si preoccupa di stigmatizzare le indebite duplicazioni risarcitorie.

6) Applicazione retroattiva dell e tabell e di cui agli artt. 138 e 139 del CAP (Cass. 28990/2019) Come noto, l’art. 3, co. 3, della legge Balduzzi, sostanzialmente riprodotto all’art. 7, co. 4, della legge Gelli-Bianco, dispone che la liquidazione del danno da medical malpractice vada effettuata in base alle tabelle previste, in ambito RCA, dagli artt. 138 e 139 del codice delle assicurazioni private (relativi, rispettivamente, alle macrolesioni, la cui tabella però non è ancora stata adottata e alle microlesioni, sino al 9% di I.P.).

La Corte interviene sul nodo controverso dell’applicazione ratione temporis di tali norme. Disattendendo la diversa tesi sostenuta da varie corti di merito, la terza sezione chiarisce che le tabelle del CAP si applicano anche alle controversie relative a fatti antecedenti all’entrata in vigore delle succitate disposizioni, nonché ai giudizi pendenti a tale data (con il solo limite del giudicato interno sul quantum).

Infatti, il richiamo ai criteri tabellari non disciplina la fattispecie costituiva del diritto sostanziale (per cui varrebbe il principio dell’irretroattività), ma definisce l’ambito delle modalità di esercizio del potere di liquidazione equitativa del danno attribuito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c.

7) Riparto dell onere probatorio (Cass. 28991 e 28992/2019) In due pronunce, la Corte affronta il tema del riparto dell’onere della prova nel caso in cui sia dedotta la responsabilità contrattuale del sanitario (o della struttura).

In contrapposizione (quantomeno apparente) con il dictum delle S.U. n. 577/2008 (che avevano stabilito che l’onere di provare il nesso di causalità spetta al medico, mentre sul paziente grava un mero onere di allegare l’inadempimento) e dando invece seguito alle più recenti pronunce di legittimità, la terza sezione afferma che sul paziente incombe anche l’onere di provare il nesso causalità (materiale) tra l’azione/ omissione dei sanitari e l’evento di danno (i.e. l’aggravamento della situazione patologica o l’insorgenza di una nuova patologia).

È invece onere del medico provare, in via liberatoria, che una causa imprevedibile ed inevitabile ha reso impossibile l’esatta esecuzione della prestazione. Tale principio distributivo dell’onere della prova assume particolare rilievo nel caso di causa ignota, le cui conseguenze gravano sul danneggiato: se non risulta possibile provare (anche attraverso presunzioni) la causa dell’evento di danno, la domanda risarcitoria dovrà essere respinta.

8) Ambito di applicazione del danno da perdita di chance (Cass. 28993/2019) La Corte chiarisce poi l’ambito di applicazione del danno da perdita di chance. Anche in questo caso, vengono enucleate, in maniera schematica, diverse ipotesi. La condotta colpevole del sanitario ha cagionato la morte del paziente, mentre una diversa condotta (diagnosi corretta e tempestiva) ne avrebbe consentito la guarigione.

In tal caso non si tratterà di perdita di chance ma di danno biologico (terminale) e/o da lesione del rapporto parentale. La condotta colpevole ha cagionato non la morte del paziente (che si sarebbe comunque verificata) bensì una significativa riduzione della durata della sua vita e/o una peggiore qualità della stessa. Anche in tal caso non sussiste un danno da perdita di chance, quanto piuttosto un danno da perdita anticipata della vita e dalla sua peggior qualità. La condotta colpevole del sanitario non ha avuto alcuna incidenza causale sullo sviluppo della malattia, sulla sua durata, sulla qualità della vita medio tempore e sull’esito finale.

La mancanza di conseguenze dannose della pur colpevole condotta medica impedisce qualsiasi risarcimento. La condotta colpevole del sanitario ha avuto, come conseguenza, un evento di danno incerto: in assenza della condotta colpevole, l’eventualità di maggior durata della vita e di minori sofferenze sono ritenute soltanto possibili alla luce delle conoscenze scientifiche e delle metodologie di cura del tempo.

Tale incertezza eventistica è la sola che integra la perdita di chance, e sarà risarcibile equitativamente ove risultino comprovate conseguenze pregiudizievoli che presentino la necessaria dimensione di apprezzabilità, serietà, consistenza.

9) Irretroattività delle norme sostanziali della legge Balduzzi e della legge Gelli-Bianco L’ultima pronuncia riguarda, nello specifico, l’art. 7 co. 3 della legge Gelli-Bianco, che qualifica in termini di responsabilità extracontrattuale la responsabilità dei sanitari di cui si avvale la struttura sanitaria o sociosanitaria, pubblica e privata (salvo che abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente). Come noto il legislatore si è discostato nettamente dalla giurisprudenza al tempo prevalente, che aveva invece qualificato la responsabilità come di natura contrattuale (da contatto sociale).

Al riguardo la Corte chiarisce che la disposizione non ha portata retroattiva e non può applicarsi ai fatti avvenuti in epoca precedente alla sua entrata in vigore. Il medico non potrà dunque avvalersi del più favorevole regime di responsabilità di cui all’art. 2043 c.c. se la condotta risale ad epoca antecedente alla legge. Lo stesso vale, in generale, per le norme sostanziali contenute nella legge Balduzzi e nella legge Gelli-Bianco, al contrario delle norme “processuali” sull’applicazione delle tabelle, che come visto al punto 6 hanno portata retroattiva. Questi dunque i principi sanciti dalla Cassazione.

L’espressa intenzione della Corte di fissare delle regole generali, combinata con il fatto che la terza sezione è competente per le materie della responsabilità civile e dell’assicurazione, porta a prevedere che il futuro contenzioso non potrà prescindere dagli orientamenti espressi nel decalogo in esame. Da un punto di vista assicurativo, risulta apprezzabile l’operazione di sistematizzazione e razionalizzazione e di una serie di questioni centrali in tema di responsabilità medico sanitaria.

In particolare, gli operatori potranno quantificare con maggiore sicurezza la potenziale esposizione risarcitoria e confidare nella riaffermazione – sulla scia delle S.U. del 2008 – di precisi limiti alla proliferazione di danni risarcibili, che vanno puntualmente accertati nei loro elementi costitutivi e non possono portare ad indebite duplicazioni risarcitorie.