di Andrea Pira

Il governo preferisce non intervenire nella matassa che lega Mediobanca e Generali e dunque resta spettatore nella battaglia per il controllo del leone di Trieste, che sta mettendo in apprensione la comunità finanziaria e il Copasir, il Comitato per la sicurezza della Repubblica, che ha aperto un’indagine sui rischi di scalate ostili dei gioielli italiani. Il punto l’ha fatto lo stesso esecutivo ieri alla Camera, rispondendo ad un question time che aveva coinvolto direttamente il ministero dell’Economia. Ma con esiti scarsi. Non ha infatti convinto i deputati l’esposizione fornita all’interrogazione di Forza Italia sui movimenti azionari in Mediobanca (ieri -1,32% in borsa) e Generali (-1,25%) con il rischio, paventato dagli interroganti, di perdita dell’italianità per due pilastri del sistema finanziario nazionale. La querelle è stata affidata dal Tesoro al ministro per i Rapporti con il Parlamento, Federico D’Incà, che ha illustrato però solo una fotografia dell’attuale status quo, dopo i forti acquisti di Leonardo Del Vecchio su piazzetta Cuccia, delegando poi alla Consob il controllo dei corsi.
«Il possesso delle partecipazioni detenute alla data del 14 gennaio 2020 da Del Vecchio, principalmente attraverso Delfin, nel capitale di Mediobanca (9,9% secondo dati Consob) e in quello di Generali (3,2%) legittimano l’imprenditore a presentare una lista di candidati per le elezioni dei due rispettivi cda», ha così spiegato per interposta persona il Mef, «l’entità dei due pacchetti azionari non determina però a priori la vittoria di tali possibili liste, né consente automaticamente a Delfin di avere la maggioranza dei posti nei due board e di nominare autonomamente gli amministratore delegati delle due società». D’Incà ha aggiunto che «è invece circostanza del tutto diversa riuscire a ottenere il voto favorevole da parte di un numero sufficiente di azionisti sulla lista di candidati presentata». «Le dimensioni dei pacchetti azionari detenuti da Delfin Sarl in entrambe le società, unitamente alle caratteristiche dell’azionariato delle due società, non consentono a priori alla stessa società, in assenza di accordi con altri azionisti o del loro sostegno, di nominare in autonomia la maggioranza dei consiglieri di amministrazione e gli amministratori delegati delle due società in questione», ha aggiunto il ministro.
L’esito del question time non è stato però sufficiente per Forza Italia, che ha lamentato anche i ritardi nella replica del governo, cui erano già stati chiesti chiarimenti lo scorso ottobre. L’interrogazione degli azzurri, guidati da Mauro D’Attis, si concludeva con una richiesta esplicita al governo Conte di fornire tutti gli elementi utili per capire «quali iniziative di competenza si intendano assumere per evitare che Mediobanca spa e Assicurazioni Generali spa perdano la loro identità azionaria nazionale, finendo in mano a investitori stranieri». Interrogativo che è rimasto lettera morta.
La fame di informazioni arriva peraltro in scia al faro puntato dal Copasir su possibili acquisizioni estere di asset nazionali. Sotto la lente i movimenti di Russia, Cina e anche della Francia, spesso corsare in territorio italiano. Per questa ragione nelle prossime settimane a Palazzo San Macuto deputati e senatori del Comitato avvieranno una serie di audizioni sul rischio scalate per gruppi italiani, tra cui appunto Unicredit, per il quale sono tornati i rumors di una possibile fusione con SocGen, e appunto Generali. (riproduzione riservata)

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