L’ ultima fiche piazzata da Generali sul tavolo delle fusioni europee è andata sulla fintech francese Alta profits, che offre piattaforme online per polizze e gestioni patrimoniali con 1,7 miliardi di euro di masse. Segue di pochi giorni il perfezionamento dell’acquisto di Seguradoras Unidas in Portogallo, che seguiva acquisizioni minori in Polonia, India, Ungheria, Slovenia, Slovacchia. Dietro le quinte, poi, va avanti la caccia ai business di Atta nel Centro Est Europa, per cui al giro di boa del 15 gennaio la compagnia triestina sarebbe tra quelle che hanno presentato un’offerta vincolante. Mentre nei mesi finali del 2019 si sono consumati i ritiri dalle gare per gli attivi europei di Met Life, come già per la bancassicurazione di Bbva in Spagna. Sfogliare dossier, nel fare e disfare del comparto polizze europeo, è tra le priorità annunciate del management, e continuerà a esserlo nel 2020. Saranno tuttavia piccoli passi:
o come si dice a Londra, nella lingua dei mercati, bolton acquisitions, acquisizioni da imbullonare su una struttura più grande e articolata. Non pare questo – e quando mai – il momento per lanciarsi in grandi fusioni: anzi, da mesi prevalgono scambi di figurine tra varie geografie, quando non si tratti di scorpori e scissioni, che hanno il pregio di ridurre il patrimonio di vigilanza richiesto e sciogliere la complessità organizzativa. Tanto più che il mercato unico europeo marcia a ritroso, e diversi attori trovano più efficiente un uso settario del capitale.
L’INTERROGATIVO DEL FINANCIAL TIMES Il caso più fragoroso è stato Prudential, gigante britannico che dopo 171 anni di storia (quasi quanti Generali) ha scisso le attività domestiche, forse per valorizzare la sua crescita in Asia, altra roccaforte oltre agli Usa. Simili tendenze – rievocate un mese fa dal Financial Times che si è chiesto se la nuova miscela vincente per gli assicuratori globali non sia oggi un dimagramento misto alla specializzazione geografico merceologica, valgono in prospettiva per altri gruppi anglosassoni di media taglia. Aviva, il cui nuovo capo ha ceduto le attività di Hong Kong mentre gli investitori si chiedono come razionalizzerà Europa (Italia compresa) e Canada; Royal Sun Alliance, forte nei danni ma ‘sparse tra Regno Unito, Canada e Scandinavia; Admiral, che ha annunciato lo scorporo dei suoi siti comparatori di prezzi salite auto in vari Paesi in una società unica dedicata per «accelerare la crescita globale»; Saga, che ha attività fiacche e frammentate, e un neo socio attivista come Elliott con un 5% che la pungola. Il pungolo degli azionisti, a Trieste, è qualcosa che si percepisce in modo crescente. Ma non è per dare soddisfazione a Leonardo Del Vecchio, nuovo perno di Mediobanca da cui per decenni è dipeso il desti-no del Leone. Casomai è per restituire un po’del fasto antico a tutti t soci – anche Caliagirone, Benetton, De Agostini e gli istituzionali. La prima forza aggregata consentendo a Generali di recuperare il divario di reddittività e capitalizzazione apertosi come voragine nel decennio 2005-2015. Per il gioco di rimessa di qualche « manager e per il coinvolgimento dell’Italia e dei Btp nella crisi sovrana, quel che l’ad Philippe Donne: ora prova a fare è ampliare con piccoli acquisti scelti e gestiti oculatamente, che integrino gli utili Generali (in media gli analisti stimano 17-2.8 miliardi nel 2019) aumentare l’utile per azione dei 6-8% dal 2021 e specchiare il tutto nel valore della borsa, dove si riconosce al Leone un multiplo oltre 10 volte l’utile 2019, alto ma lievemente sotto i rivali Axa, Allianz e Zurich.

CAPITALIZZAZIONI INARRIVABILI Nel piano industriale Donnet preparò 4 miliardi per acquisizioni, da cercare preferibilmente nell’Est Europa e nei danni, che nella fase di tassi negativi hanno migliori prospettive reddituali (oltre al fatto che Genera-li è da sempre più forte nel Vita, che pesa per il 58% dei ricavi). Su quella traccia si va avanti: senza strappi, anche se frattanto la prima forza in Mediobanca è diventato il patron di EssilorLuxottica e non è un mistero che a lui piacciano i dossier robusti. Del Vecchio ha basato lo slancio internazionale di ogni sua azienda su poche e notevoli aggregazioni “trasformativa”; e così vorrebbe per Generali. Tuttavia né oggi né nel vicino futuro simili opzioni paiono nel binocolo di Donnet Troppo cari sono i prezzi delle possibili rivali da invita-re, lievitati per anni nelle Borse. Per non dire delle capitalizzazioni: in 15 anni la capitalizzazione di Generali, oggi 28,55 miliardi di euro, è diventata una fetta di quella di Allianz (91,7 miliardi), Axa (58$ miliardi), Zurich (56,8 miliardi). Proprio la Zurich che nel 2003 fu a un passo dal fallimento e costretta a un forte aumento di capitale, garantito per un terzo da Generali. La stessa che anni dopo, alla vigilia della crisi dei mutui Usa, fu vicina a fondersi con Generali su ba-si paritarie. La stessa, vedi i ricorsi delle storie, che dal 2016 è guidata da Mario Greco, che l’ha rilanciata dopo averci provato in precedenza proprio con Generali.  L’ANNO DOPO DONALD Il recupero sui rivali, per rimettere il primo gruppo finanziario nostrano in Champions League, dal lancio del primo piano strategico di Donnet (2016) si può dire iniziato, non concluso. Il vertice, confermato nove mesi fa, è fiducioso di poter recuperare nuove posizioni: e tramite un’attenta gestione quotidiana, condita da poche altre acquisizioni bolt-on, conta di far crescere la quotazione ben oltre i 18 euro a cui l’azione staziona da tre mesi. Un tale viatico traghetterebbe al meglio l’azienda nel 2021, anno in cui potrebbero presentarsi più opportunità strategiche. Passate le elezioni alla Casa Bianca -che spingono Donald Trump a tenere alle stelle i multipli di Wall Street – si potrebbe vedere la correzione azionaria che chiude uno dei cicli rialzisti più lunghi di sempre. Lì il gioco competitivo si farà più duro, e il favore degli investitori più selettivo. Proprio a quel punto potrebbe tornare utile la struttura “ibrida” dell’azionariato Generali, per un quasi 30% nocciolo duro e il restopublic company. La riaccesa passione dei soci italiani rende prevedibile che, qualora si prospettasse un’aggregazione di rilievo, sarebbe più facile che in passato aumentare il capi-tale alla bisogna, diciamo qualche miliardo, a corredo di uno scambio di carta che non metta in minoranza la fazione italiana. Anche i I ruolo storico di Mediobanca, non sempre pro-pizio alla crescita del Leone, potrebbe trovare nuovi approdi.

Fonte:aflogo_mini