Integratori di quota 100
Nel 2018 i negoziali hanno perso il 2,48% e gli aperti il 3,7% rispetto al +2,1% del tfr. Ma nel decennio il bilancio dei fondi resta favorevole. E ora il loro ruolo cresce con le nuove norme sulla flessibilità
di Roberta Castellarin e Paola Valentini

In vista della partenza delle nuove misure di flessibilità in uscita, tra cui l’atteso decreto su quota 100 adottato in via sperimentale per il triennio 2019-2021, la previdenza integrativa assume un ruolo sempre più importante perché lasciare in anticipo il lavoro comporta un taglio dell’assegno che, a secondo dei casi, può arrivare al 25%. E’ l’effetto del sistema di calcolo contributivo che lega l’ammontare dell’assegno pubblico ai versamenti effettuati durante la vita lavorativa. Non solo: l’anticipo determina anche l’utilizzo di coefficienti di trasformazione del capitale accumulato in rendita più penalizzanti rispetto a chi va in pensione più tardi perché che gli anni durante i quali, prevedibilmente, si potrà godere della pensione sono maggiori. E quindi assume sempre più importanza il ruolo integrativo alla pensione pubblica da parte dei fondi pensione. «Nelle tante assemblee che in queste settimane abbiamo organizzato in giro per la regione abbiamo constatato un complessivo apprezzamento per l’opzione offerta da quota 100.

In particolare chi è già associato a Solidarietà Veneto non teme la riduzione dell’assegno perché ha già programmato, attraverso il fondo, un piano di integrazione», spiegano dal fondo dedicato ai dipendenti delle aziende del Veneto. I lavoratori iniziano quindi a prendere consapevolezza di questa situazione non a caso, secondo i dati Covip al 30 settembre 2018 gli iscritti ai fondi pensione e alle polizze individuali di previdenza (pip) sono in ulteriore crescita. Il numero complessivo di aderenti è di 8,609 milioni, +3,7% da inizio anno, al netto delle uscite. Nei fondi negoziali si sono registrate 155 mila iscrizioni in più (+5,5%), portando il totale a fine settembre a 2,96 milioni.
L’apporto maggiore alla crescita delle posizioni (circa 130 mila) si è registrato nei fondi pensione che hanno lanciato meccanismi di adesione contrattuale, al posto del silenzio assenso. Un contributo alla crescita arriva anche da Fondemain, il fondo pensione per i dipendenti della Valle d’Aosta, che nel 2018 ha accolto anche gli autonomi. Intanto a fine settembre i fondi aperti hanno 1,431 milioni di posizioni, 56 mila in più (+4,1%) da fine 2017. Nei pip nuovi il totale degli iscritti è di 3,21 milioni, +3,4%. Per effetto delle nuove iscrizioni anche il patrimonio aumenta portandosi a 167,2 miliardi di euro (+3%), di cui 51,2 miliardi (+3,5%) nei negoziali, 20 miliardi nei fondi aperti (+4,2%) e 30 miliardi nei pip (+8,7%) a cui si aggiungono 59 miliardi dei fondi preesistenti e quasi 7 miliardi nei pip vecchi per i quali però non si dispongono di dati relativi al 2018).
Quanto ai rendimenti 2018 anche i gestori dei fondi pensione hanno dovuto fare i conti con una turbolenza che lo scorso anno non ha risparmiato quasi nessun asset. Queste tendenze si sono riflesse sui risultati, penalizzati dalle perdite scaturite dal rialzo dei rendimenti delle obbligazioni che ancora rappresentano la quota maggiore dei portafogli. In questo contesto, sempre secondo le rilevazioni dell’autorità di vigilanza presieduta da Mario Padula, nei nove mesi del 2018 i rendimenti, al netto dei costi di gestione e della fiscalità, sono stati in media marginalmente negativi per tutte le tipologie: -0,1 e -0,2%, rispettivamente, per i fondi negoziali e per i fondi aperti, -0,1% per i pip che hanno come sottostanti polizze unit linked di ramo III (mentre quelli legati alle gestioni separate di ramo I non prevedono rilevazioni in corso d’anno). Ma guardando al lungo periodo, spiega Copvip, i recenti andamenti dei mercati incidono in misura limitata su un periodo di osservazione più ampio. Rispetto a quanto registrato nel decennio 2008-2017 (il 2007 è stato l’anno di entrata in vigore della nuova normativa sulla previdenza complementare con il meccanismo di adesione tramite il silenzio assenso) l’andamento dei nove mesi del 2018 ha inciso infatti solo per 0,2 punti percentuali sui rendimenti medi annui composti di tutte le forme complementari, che si mantengono largamente positivi.

Negli 11 anni che vanno da inizio 2008 a fine settembre 2018 i rendimenti sono risultati pari al 3,1% nei negoziali, al 2,8% per i fondi aperti, al 2% per i pip di ramo III. Nello stesso periodo, la rivalutazione media annua composta del tfr è stata pari al 2,1%. Il tfr in azienda è l’asticella con cui si confrontano i risultati dei fondi pensione e dei pip. Va ricordato che la tassazione sulla rivalutazione della liquidazione è più leggera rispetto a quella prevista sui rendimenti della previdenza complementare. Per la prima è del 17%, per i secondi del 20%. E anche tenendo conto di questa maggiore zavorra tutto sommato i gestori previdenziali hanno resistito all’impatto della turbolenza sui mercati del 2018.
Come emerge dall’analisi di MF- Milano Finanza che ha raccolto dai principali fondi pensione negoziali i risultati 2018. Da questa anticipazioni risulta che lo scorso anno il risultato medio è stato del -2,46%. Mentre i fondi pensione aperti hanno registrato una perdita media del -3,7% (dati Fida) perché di solito presentano una maggior esposizione all’azionario rispetto ai negoziali. Nell’anno il tfr si è rivalutato dell’1,86% netto perché ha una parte di rendimento fisso (il tfr si apprezza dell’1,5% più il 75% dell’inflazione Istat). «Il 2018 ricorda come negli investimenti siano sempre due le componenti da valutare: il rendimento certamente, ma anche il rischio», spiega Paolo Stefan, direttore di Solidiarietà Veneto.
Ma Stefan osserva che «tutto sommato la consapevolezza prevale sulla preoccupazione: il ribasso dei mercati azionari, dopo dieci anni di consistenti guadagni, era atteso. Proprio per questo, negli ultimi anni molti associati hanno cambiato comparto riducendo l’esposizione al rischio. Oggi queste persone sono contente della scelta effettuata. Contraccolpi maggiori si registrano invece per chi ha scelto prodotti più esposti ai mercati azionari: in fabbrica qualche lavoratore preoccupato ci ha segnalato di aver subito ribassi anche superiori al 10%».
In linea Mario D’Alessandro, direttore generale di Mediafond il quale precisa «che il comparto azionario nel corso degli ultimi anni ha raggiunto livelli record e quindi una fase di presa di beneficio legata anche ad alcuni fattori di incertezza politica a livello globale è fisiologica; e, soprattutto, i rendimenti dei fondi di previdenza complementare vanno valutati su un orizzonte temporale più consistente. A tale proposito i rendimenti conseguiti da Mediafond su un orizzonte temporale medio lungo sono stati sempre positivi, e altamente competitivi con il resto dell’offerta degli altri negoziali». E in questo complesso scenario, si sono messi in luce i comparti garantiti che danno per legge un rendimento minimo (ad esempio pari alla rivalutazione del tfr) o garantiscono il capitale. Un altro punto di forza dei fondi negoziali è il livello contenuto di commissioni che fa la differenza quando i rendimenti sono bassi. Proprio i costi devono essere esplicitati nel dettaglio ai risparmiatori grazie alla normativa sulla trasparenza voluta dalla Mifid II in vigore dai rendiconti di quest’anno.

«Un altro elemento da non sottovalutare è che l’investimento nella previdenza complementare funziona come un piano di accumulo: le quote sono acquistate dai singoli iscritti, su base mensile o trimestrale, al valore di mercato del momento», aggiunge D’Alessandro. Da ultimo l’adesione ai fondi pensione determina una serie di benefici fiscali e patrimoniali: deducibilità degli investimenti, tassazione agevolata dei rendimenti (aliquota del 20% rispetto alla misura standard del 26%), contributo aziendale in aggiunta ai versamenti effettuati dagli iscritti, possibilità di utilizzare una parte del patrimonio investito per soddisfare le proprie esigenze, che rendono questa forma di investimento competitiva in qualunque fase di mercato», puntualizza D’Alessandro. In un anno tra i più difficili dal punto di vista dei rendimenti, Mediafond ha visto il numero degli iscritti aumentare dell’1,2%, l’attivo netto è cresciuto del 2,7%, i contributi volontari una tantum versati nel l 2018 sono saliti di circa il 15% rispetto al dato record del 2017».
Ma per i gestori previdenziali le sfide restano perché, nonostante la ripartenza dei mercati, i tassi restano ai minimi e trovare alternative di rendimento non è facile. Di qui il crescente interesse verso i private asset, ovvero azioni e bond non quotati sui mercati regolamentati che a fronte di una maggiore illiquidità possono offrire un premio di rendimento di circa il 2-3% rispetto agli attivi quotati. Gli ambiti dei mercati privati comprendono le risorse naturali (tra cui silvicoltura, l’agricoltura e la produzione di energia), i progetti infrastrutturali come strade, ferrovie, ponti, reti elettriche e impianti idrici, l’immobiliare, tutti asset che ben si sposano con l’orizzonte temporale di lungo periodo dei fondi pensione. (riproduzione riservata)

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