Nel decreto legge le regole per il pensionamento. Niente cumulo fino all’età per la vecchiaia
Fino a 8 anni di attesa per il tfr. Un prestito per l’anticipo
di Leonardo Comegna

La platea dei potenziali aderenti alla famosa «quota 100» (38 anni di contributi più 62 di età) sarà di circa 315 mila persone, di cui il 40% dipendenti pubblici. Questi sono i numeri stimati dai tecnici ministeriali, considerato lo stanziamento di 3,9 miliardi di euro. Ci sono poi le famose «finestre», trimestrali per i dipendenti del settore privato, la cui prima rendita decorrerà in aprile, e semestrali per i pubblici, i quali vedranno i primi assegni a luglio. Non solo: i dipendenti pubblici che lasceranno in anticipo il lavoro, utilizzando «quota 100», rischiano di dover aspettare anche fino a otto anni per la liquidazione.
Niente cumulo. Nella bozza del decreto che presumibilmente vedrà la luce entro la prossima settimana, è previsto che l’assegno con «quota 100» non sia cumulabile con redditi da lavoro superiori a 5 mila euro l’anno. Divieto che durerà fino alla data in cui il pensionato raggiungerà l’età di vecchiaia, ossia i 67 anni. Condizione questa che dovrebbe scoraggiare una parte degli aventi diritto. Soprattutto chi possiede un’elevata professionalità che, come si sa, una volta andato in pensione si dedica a prestare consulenze.
Un assegno più magro. Va subito detto che l’emanando decreto legge non prevede alcuna penalizzazione diretta. Ovviamente, la normale applicazione dei metodi di calcolo della pensione darà luogo a un assegno più magro. È infatti evidente che uscendo prima dall’attività lavorativa, si abbiano meno anni di contribuzione. Non solo, il coefficiente di calcolo applicato, sarà più basso per le età più giovani, perché il montante accumulato dovrà appunto essere spalmato su più anni di erogazione. Secondo i calcoli dell’Ufficio parlamentare di Bilancio, il taglio dell’assegno cresce da circa il 5%, in caso di anticipo solo di un anno a valori oltre il 30% se l’anticipo è di oltre 4 anni. Tagli che si riducono attualizzando la pensione con «quota 100», cioè tenendo conto del fatto che si percepirà per più tempo. Si va così da una riduzione di appena lo 0,22% per chi anticipa di un anno a una di quasi il 9% per chi lascia il lavoro nel 2019 anziché nel 2025.

La laurea aiuta. Una spinta all’uscita con la «quota 100» potrebbe avvenire da parte delle aziende intenzionate a «svecchiare» il personale. L’articolo 22 della bozza prevede la possibilità, nell’ambito di accordi sindacali che comportino assunzioni, di prendere in carico l’assegno di accompagnamento a «quota 100» dalle stesse imprese che dovranno versare la provvista finanziaria a un Fondo di solidarietà di categoria. Senza che le stesse debbano continuare a pagare i contributi (come invece avviene per l’«isopensione» targata Fornero). Ma non basta. Al fine di raggiungere l’obiettivo, alle imprese sarà consentito di versare, al posto degli interessati, anche i contributi utili per il riscatto della laurea.
Pensione d’anzianità. Stop alla speranza di vita. Almeno per la pensione anticipata. L’art. 15 dispone la cancellazione dell’adeguamento all’aspettativa di vita del requisito unico previsto per la pensione anticipata (ex pensione d’anzianità), cristallizzandolo a 41 anni e 10 mesi alle donne, a 42 anni e 10 mesi agli uomini e a 41 anni ai precoci (chi ha iniziato a lavorare prima dei 19 anni di età). La novità avrà effetto dal 1° gennaio, facendo così venir meno l’incremento che c’è appena stato di cinque mesi. La porta d’accesso alla rendita, però, si aprirà trascorsi tre mesi dalla maturazione dei requisiti. La misura dovrebbe interessare i lavoratori iscritti all’assicurazione generale obbligatoria Inps (dipendenti e autonomi del settore privato), nonché quelli iscritti alla gestione separata (parasubordinati). Resterebbero, dunque, fuori i dipendenti pubblici.

Opzione donna. Il decreto contiene anche la proroga di un anno per la cosiddetta «opzione donna». L’articolo 16, stabilisce che possono utilizzare l’opzione le lavoratrici dipendenti nate entro il 31 dicembre 1959 e le autonome entro il 31 dicembre 1958. Possono utilizzare l’opzione donna (uscita anticipata, ma pensione ricalcolata con il meno vantaggioso metodo contributivo) le donne dipendenti con almeno 58 anni e quelle autonome con almeno 59 purché abbiano almeno 35 anni di contributi. Continua ad essere applicata la finestra mobile di 12 mesi per le dipendenti e di 18 mesi per le autonome. Non si applica, invece, l’adeguamento legato alla speranza di vita. In sostanza, per le dipendenti sarà possibile lasciare il lavoro con 59 anni e per le autonome con 61 anni e sei mesi. La proroga, per il momento, è per un solo anno, ma le lavoratrici che raggiungeranno i requisiti indicati nel 2019 potranno andare via anche negli anni successivi. Lo sconto sull’uscita è in questo caso notevole, ma anche il costo è rilevante in termini di decurtazione dell’assegno previdenziale. Il taglio derivante dal calcolo interamente contributivo della pensione prevede una penalizzazione tra il 20 e il 25%.

Ape sociale. Il decreto (all’articolo 18) contiene anche la proroga per un anno dell’Ape sociale che è scaduta il 31 dicembre 2018. Una sorta di pre-pensione assistenziale che si può ottenere a partire dai 63 anni e 7 mesi per coloro che si trovano in condizioni di disagio o svolgono attività considerate gravose (15 categorie). Possono chiederla i disoccupati da oltre 3 mesi, coloro che assistono familiari disabili, persone con invalidità pari almeno al 74% e chi svolge lavori gravosi: operai edili, autisti di gru e macchine per l’edilizia, conciatori, macchinisti e personale viaggiante, autisti di mezzi pesanti, infermiere e ostetriche ospedaliere turniste, badanti, maestre d’asilo, facchini, personale addetto ai servizi di pulizia, operatori ecologici. Nel 2018 sono stati aggiunti: operai siderurgici e del vetro, operai agricoli, marittimi e pescatori. Per accedere all’anticipo gratuito occorre avere un minimo di 30 anni di contributi che diventano 36 per chi è impiegato in lavori gravosi.

Liquidazione dipendenti pubblici. I dipendenti pubblici che lasceranno in anticipo il lavoro, utilizzando «quota 100», rischiano di dover aspettare anche fino a 8 anni per la liquidazione. L’articolo 23 del decreto stabilisce che la buonuscita agli statali venga pagata soltanto al momento in cui matureranno i requisiti previsti dalla legge Fornero, ossia una volta raggiunti i 67 anni. La scelta del governo sarebbe dettata da motivazioni strettamente economiche: pagare subito il trattamento di fine servizio (tfs) e di fine rapporto (tfr) dei tanti dipendenti statali che andranno in pensione, rappresenterebbe un costo proibitivo per le casse dello Stato. Oggi il tfr e il tfs vengono liquidati solo fino a 50 mila euro, mentre se l’importo supera i 50 mila euro, ma è inferiore a 100 mila euro, viene liquidato in due rate annuali (con un ritardo quindi di 12 mesi); se l’importo supera i 100 mila euro, le rate annuali diventano tre. Insomma, se un dipendente pubblico lasciasse il lavoro a 62 anni di età avendo versato 38 anni di contributi (come previsto da Quota 100), e avesse maturato una liquidazione superiore a 100 mila euro, per avere l’intera cifra dovrebbe aspettare i 70 anni. Per attenuare l’operazione, la stessa norma prevede inoltre che le pubbliche amministrazioni possano stipulare accordi con gli istituti di credito per consentire un anticipo bancario che possa permettere agli statali di accorciare i tempi di incasso del tfs.

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