GIURISPRUDENZA

Autore: Avv. Laura Opilio e Avv. Luca Odorizzi 
ASSINEWS 304 – gennaio  2019    

La Corte di Cassazione, con la recente ordinanza n. 25635  del 15/10/2018, offre alcuni spunti interessanti sul tema della  designazione del terzo beneficiario nelle polizze vita.

Com’è noto, nell’assicurazione sulla vita a favore del terzo  la designazione, la revoca o la modifica del beneficiario può  avvenire direttamente in polizza oppure con atto successivo  comunicato all’assicuratore o mediante testamento (nel qual  caso l’attribuzione della somma assicurata a favore di persona  determinata equivale a designazione).

Come previsto espressamente dall’art. 1920 c.c., la designazione  è valida ed efficace anche quando il beneficiario  venga indicato solo genericamente, attraverso il richiamo ad  una qualità o una condizione personale che consentano di  identificarlo al momento del verificarsi dell’evento assicurato.  Nella prassi, ad esempio, sono particolarmente diffuse  formule quali “il mio coniuge”, “i miei figli”, “i miei eredi”.

In quest’ultima ipotesi va precisato che la designazione generica  a favore degli “eredi” non implica l’assoggettamento  del rapporto alle regole della successione ereditaria, ma vale  solo ad individuare per relationem i beneficiari: il diritto alle  prestazioni assicurative spetterà a coloro i quali rivestiranno,  al tempo della morte del contraente, la qualità di chiamati  all’eredità.

La disciplina assicurativa è dunque tendenzialmente indipendente  dalle regole successorie. Da ciò consegue, ad  esempio, che il beneficiario ha diritto alla prestazione assicurativa  anche se non ha accettato l’eredità, che eventuali  concepiti al momento del decesso dell’assicurato non acquisiscono  lo status di beneficiari e che in caso di eredità  giacente il curatore non può agire per la riscossione della  somma assicurata.
Il principio dell’autonomia della polizza  assicurativa rispetto alle regole della successione, però,  non è sempre interpretato in modo univoco.

Così, ad esempio,  dottrina e giurisprudenza  ritenevano tradizionalmente che  la prestazione assicurativa andasse  divisa in parti uguali tra i  beneficiari-eredi, senza applicare  le quote previste dalle norme  sulla divisione ereditaria, ma tale  assunto è stato messo in discussione  dalla Corte di Cassazione  con sentenza n. 19210 del 29 settembre  2015, che ha sostenuto,  invece, che il capitale assicurato  va diviso per quote determinate  secondo le regole successorie.

La pronuncia in commento si  muove lungo queste linee affrontando  l’incertezza interpretativa  originata dal confronto tra  l’espressione “eredi legittimi” utilizzata  in una polizza assicurativa  e il contenuto di un successivo  testamento olografo redatto dal  medesimo soggetto.
Nel testamento  l’interessato aveva nominato  una erede universale, senza  tuttavia fare alcun riferimento  all’assicurazione sulla vita.

L’erede designata in testamento ha agito contro  la compagnia assicuratrice chiedendo che  venisse dichiarato il proprio esclusivo diritto  alle prestazioni derivanti dalla polizza assicurativa.
La compagnia si è costituita chiedendo  il rigetto della domanda, sostenendo che la  successiva istituzione di un terzo quale erede  universale non sposta, di per sé, l’individuazione  contrattuale dei beneficiari nelle persone  degli eredi legittimi.

Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno  dato ragione all’erede testamentaria. Quest’ultima  in particolare ha basato la propria decisione  su due ordini di ragioni.
In primo luogo, la Corte territoriale ha affermato,  in sostanza, che ciò che conta è il riferimento  alla categoria degli “eredi”, mentre la  specificazione “legittimi” contenuta in polizza  non è decisiva, venendo sostituita dalla categoria  degli eredi “testamentari” una volta che il  contraente decida di redigere testamento.
In secondo luogo, la Corte d’Appello ha osservato  che la redazione di un testamento successivo  alla stipula del contratto di assicurazione  con istituzione di un erede assume “chiara  valenza di revoca dell’originario beneficiario,  individuato negli eredi legittimi”.

In altre parole,  la disposizione testamentaria va qualificata  come modifica implicita della precedente designazione  beneficiaria.  Secondo la Corte di Cassazione, entrambe le  motivazioni sono errate.  Quanto al primo argomento la Corte, riportandosi  ai propri precedenti in materia (Cass.  n. 26606/2016, Cass. n. 9388/1994, Cass. n.  6531/2006) ribadisce che il beneficiario di un  contratto di assicurazione per il caso morte acquista  un diritto proprio che trova la sua fonte  nel contratto e che non entra a far parte del  patrimonio ereditario del soggetto stipulante.

Tale diritto quindi non può essere oggetto delle  (eventuali) disposizioni testamentarie del  contraente né segue le regole di devoluzione  della successione legittima. L’indicazione degli  eredi legittimi come beneficiari operata in  polizza integra esclusivamente un criterio di  determinazione per relationem dei beneficiari;  questi ultimi sono da identificarsi con coloro  che in astratto sono i successibili per legge al  momento del verificarsi dell’evento-morte, indipendentemente  dalla effettiva vocazione o  dalla circostanza che sia intervenuto un successivo  testamento.

Nemmeno l’argomento della revoca implicita  risulta persuasivo per la Suprema Corte.
È  vero che il testamento può revocare o modificare  la designazione del beneficiario, ma ciò  non si realizza attraverso la generica modificazione  della categoria dei successibili, ma  soltanto mediante l’individuazione specifica di  nuovi beneficiari della prestazione assicurativa.
Nella specie il testamento non conteneva  alcuna revoca esplicita, né alcun riferimento  alla designazione formulata nella polizza, ma  solamente l’istituzione di un erede universale,  circostanza che non poteva, di per sé sola, essere  considerata un’univoca manifestazione di  volontà di revoca.

In definitiva, la Corte sostiene che i beneficiari  di una polizza vita designati attraverso la formula  “eredi legittimi” sono da identificarsi mediante  le regole della successione ab intestato  anche qualora vi sia un testamento.
La pronuncia, nel rivelarsi un utile ausilio interpretativo  per i casi di utilizzo, da parte del  contraente, della formula in questione, può  porre alcuni ulteriori spunti di riflessione.
In primo luogo, la vicenda processuale mette  in luce come le designazioni generiche possano  causare non pochi problemi a livello  operativo.

È comprensibile che il contraenteassicurato  identifichi i soggetti che alla sua  morte avranno diritto alle somme assicurate,  rimandando – attraverso formule quali “i miei  eredi (testamentari e/o legittimi)” – alla “gerarchia  degli affetti” individuata in astratto dal  legislatore in materia successoria.
In tal modo,  però, si possono determinare difficoltà sia con  riguardo, in concreto, all’identificazione e la  presa di contatti con i soggetti beneficiari da  parte dell’assicurazione (è il tema delle polizze dormienti), sia con riguardo all’esatta interpretazione  della volontà del contraente (come nel  caso di specie, ove le Corti di merito hanno  dato letture di segno inverso rispetto alla Corte  di Cassazione).

A questo proposito, l’Autorità  di Vigilanza da tempo manifesta un certo  sfavore per le designazioni generiche, suggerendo  e incentivando, per contro, l’individuazione  dei beneficiari nella maniera più specifica  possibile.
Da ultimo, il Regolamento IVASS  41/2018 ha previsto, proprio a tal fine, che nel  modulo di polizza debba essere inserito un apposito  campo dove indicare i dati identificativi  (incluso il codice fiscale e/o la partita IVA italiani  o esteri, e i relativi recapiti anche di posta  elettronica) dei beneficiari, ammonendo che in  assenza di designazione nominativa l’impresa  potrebbe incontrare difficoltà nell’identificazione  dei soggetti legittimati alla prestazione  assicurativa.

Sotto altro aspetto, l’ordinanza merita attenzione  per la maniera netta in cui marca la differenza  e l’autonomia tra le regole che governano  il contratto di assicurazione sulla vita e  quelle che riguardano la successione, legittima  o testamentaria.
In questo senso si può forse  intravedere una contrapposizione con la succitata  Cass. 19210/2015, che invece aveva accentuato  il legame tra le due fattispecie, estendendo  la rilevanza delle regole sulla devoluzione  ereditaria non solo all’individuazione del beneficiario  ma anche alla quantificazione della  quota allo stesso spettante.

La pronuncia  in esame non affronta esplicitamente la questione,  tuttavia – ponendosi in linea con altri  precedenti (tra tutti Cass. 26606/2016) – in più  passaggi2 pare escludere che la disciplina successoria  trovi applicazione al di là della mera  identificazione del beneficiario.
La questione  ha ricadute pratiche non di poco conto, andando  ad incidere a livello sistematico sulla  misura della liquidazione spettante al singolo  beneficiario.

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