Non siamo ancora nel peggiore dei mondi possibili, ritiene il banchiere Alessandro Decio. Ma bisogna continuare a investire, perché l’export sia il volano dell’economia nazionale. «Dobbiamo evitare la frenata degli investimenti. Non c’è crescita dell’economia se non proseguono gli investimenti che poi aumentano i posti di lavoro», dice Decio. Ex Unicredit e Ing, 53 anni, è amministratore delegato di Sace da due anni e mezzo. La società, ora integrata con Simest, fa capo a Cassa depositi e prestiti (dunque al Tesoro), favorisce le esportazioni e assicura i crediti delle imprese italiane in tutto il mondo. Il piano industriale della Cdp varato il mese scorso ne ha confermato l’obiettivo: proseguire la rotta come polo dell’export. Sace ha visibilità sullo scacchiere mondiale e può indicare alle aziende le strade per la crescita: «Il supporto all’export non comporta l’uso di risorse pubbliche e ha impatto positivo sull’economia, ma va sostenuto con più forza. Bisogna moltiplicare gli sforzi e non farsi prendere dall’inerzia».

Che anno sarà per le imprese italiane?
«Complesso, anche in relazione agli eventi internazionali. Il medio imprenditore italiano può farcela, a patto di partire bene attrezzato. Stimiamo che l’export di beni chiuda il 2018 vicino a un +3,5%, segno positivo pur dopo il record del 2017. La nostra mappa dei rischi sarà presentata nei prossimi giorni. Rivela un mondo con più volatilità, sul piano finanziario e geopolitico. Con grandi cambiamenti in India, nell’Africa subsahariana o in Brasile, le tre destinazioni emergenti secondo Sace».
Il Brasile di Bolsonaro sarà una meta per l’export?
«È il nostro primo mercato di esportazione nell’America Latina, abbiamo solide relazioni di interscambio. Al di là delle valutazioni politiche, ci sono gli elementi per una maggiore stabilità. Guardiamo con attenzione al percorso di risalita economica avviato nel 2017. Stimiamo che nel 2019-2021 l’export dall’Italia qui cresca del 5,9%. Non a caso abbiamo in programma per il 6 febbraio un evento-simbolo tra oltre 50 imprese italiane e tre corporation chiave brasiliane: Nexa nel minerario, Braskem nel petrolchimico e Petrobras nell’oil & gas. Presenteranno i loro piani di crescita, le aziende italiane avranno opportunità concrete».
Dove è nascosta la ripresa in India?
«Qui l’export dovrebbe aumentare nei prossimi tre anni del 6,7%. Ci sono i piani d’investimento delle grandi corporate come Reliance, la holding in favore della quale abbiamo garantito una linea di credito di 500 milioni di dollari l’anno scorso, per sostenere l’assegnazione di commesse italiane. E c’è il piano di sviluppo governativo Make in India, che punta a far diventare il Paese il nuovo snodo manifatturiero asiatico, con aperture interessanti dall’automotive alla meccanica strumentale, dalla trasformazione alimentare all’energia e alle telecomunicazioni».
E l’Africa subsahariana? È davvero una meta?
«In tre anni è raddoppiata la nostra esposizione in portafoglio. Abbiamo firmato operazioni Sace Simest al fianco di grandi aziende come Icm per costruire la smart city Konza, in Kenya, la prima dell’Africa. O con le piccole imprese per gli impianti sportivi dell’Africa Cup in Camerun, le rotaie per la ferrovia in Etiopia, la costruzione dell’università di Scienze agrarie nel Ghana».

Dopo la Banca d’Italia, anche il Fondo monetario internazionale la settimana scorsa ha tagliato le stime sulla crescita dell’Italia. Anzi, ha detto che il Paese frena la crescita mondiale. Com’è possibile farcela in questo scenario?
«Evitiamo di dire: va tutto male, arrendiamoci! In questi anni le aziende italiane hanno fatto un lavoro importante, hanno guadagnato quote sui mercati internazionali che hanno evitato il collasso dell’economia nazionale. Succede ancora. La crescita mondiale per il 2019 è attesa al 3,5% contro il +3,7% del 2017. Meno, è vero: ma il mondo continua a crescere. Siamo in un contesto di rallentamento generale e maggiori incertezze, è indubbio. Ma esistono ancora opportunità, anche se su geografie diverse».
Che succederà con gli Stati Uniti?
«L’export italiano negli Usa dovrebbe crescere nei prossimi 12-18 mesi di poco più del 5%, contro il 6% previsto da Sace per il 2018. È un rallentamento che, se confermato, ci preoccupa, a partire dal mercato dell’auto. Così come si teme una frenata della Cina. Ma ci aspettiamo anche, e lo diremo nel prossimo rapporto, che i mercati emergenti abbiano un miglioramento. Crediamo al rimbalzo della Turchia dopo la stabilizzazione della valuta locale, per esempio. Non c’è uno scenario di recessione globale».
Non sarà una caccia alle nicchie, per le aziende?
«Le imprese hanno dimostrato in questi ultimi anni di saper colmare spazi di crescita importanti, dove c’era la possibilità di farlo. Prova ne sia che l’export contribuisce da solo al 26% del Pil italiano, quasi un terzo. Dal 2010 al 2017, dopo la crisi, è stato l’unico traino della crescita della nostra economia, è salito del 6,4% mentre consumi privati, investimenti e spesa pubblica calavano. Bisogna concentrarsi su questo».
Gli industriali lamentano che nella legge di Bilancio 2019 non c’è spinta sugli investimenti.
«Gli investimenti sono fondamentali, la loro frenata è la preoccupazione più forte. Devono proseguire. Oggi le aziende italiane hanno un equilibrio maggiore tra debito e capitale, con meno indebitamento e una leva finanziaria allineata alle imprese tedesche e francesi. Negli ultimi anni, proprio con la ripresa degli investimenti, è ripartita l’innovazione di prodotto. Se prevalessero le incertezze sarebbe davvero un problema. Bisogna costruire un contesto che incoraggi le aziende a riprendere il ciclo».
Che suggerimenti può dare?
«Diversificare i mercati. E avere un approccio più sistematico alla gestione dei rischi».
Come va il polo dell’export Sace-Simest, con la nuova Cdp?
«Per il 2018 prevediamo un aumento del 15% delle risorse mobilitate. Stiamo lavorando con Cdp al nuovo piano industriale per una maggiore presenza sul territorio, anche con nuovi gestori».
Sace si quoterà in Borsa?
«Non è un tema d’attualità».

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