Intesa Sanpaolo cambia pelle. La maggiore banca italiana sta vivendo un complesso momento di trasformazione, sia dal punto di vista organizzativo che di business. La primavera segnerà il momento del rinnovo del board . Il consiglio di amministrazione scadrà con l’approvazione del bilancio al 31 dicembre 2018 e non sarà un rinnovo di routine . Se da un lato il ceo Carlo Messina va verso la conferma, sul fronte delle rappresentanze degli azionisti la partita si fa delicata. La scadenza del mandato di Giuseppe Guzzetti al vertice della Fondazione Cariplo, grande azionista delle banca, impone riflessioni non banali sul rinnovo delle rappresentanze. Parallelamente, l’input di Messina sta cambiando pelle all’istituto, che dallo scorso anno punta sul business assicurativo. L’attenzione alle problematiche di tutela dei patrimoni e delle garanzie sul welfare fanno si che la ricerca di nuove fonti di business rendano Intesa diversa da com’era.

In questo senso il segnale più concreto ed evidente è stato l’accordo con Intrum dello scorso primo dicembre: una partnership decennale nel campo degli Npl che ha posto fine a un racconto di ristrutturazioni e situazioni speciali che dal 2002, con Corrado Passera amministratore delegato, faceva capo a Giovanni Gilli. Sedici anni che hanno ridisegnato Intesa, portata prima a lasciare le attività sudamericane della Banca Commerciale Italiana, poi a fondersi con il Sanpaolo di Torino (preferito a Mps), quindi a cedere gli sportelli che hanno aperto il mercato italiano al Crédit Agricole e successivamente a lasciare a State Street il business dei securities services per arrivare alla nascita della Capital Light Bank nel 2014, ceduta a Intrum a fine 2018.

«All’inizio, nel team che si occupava di operazioni straordinarie e progetti speciali, eravamo in dieci – ricorda Gilli -. Corrado Passera, con cui avevo condiviso gli anni in Bocconi e in McKinsey, mi disse di partire rapidamente per il Sudamerica. Era il 2002 e dovevo allestire una task force tra le varie competenze della banca, che allora si chiamava IntesaBci ed era il prodotto della fusione di Cariplo, Comit e Ambroveneto, per andare a capire la condizione delle attività delle controllate in America Latina. Fu una esperienza straordinaria. Al secondo giorno in Perù, a Lima, venimmo accolti da una crisi di liquidità che concedeva una settimana di attività. Ne uscimmo organizzando in poche ore un prestito ponte che diede ossigeno ai conti».
Il grande mercato sudamericano vedeva IntesaBci protagonista attraverso Sudameris, con una presenza in otto Paesi, dal Perù al Brasile all’Argentina. Attività da cui andavano liberate risorse per concentrarsi sul business domestico. La banca peruviana venne ceduta a Scotia Bank, le attività brasiliane al Banco Real del gruppo Abn, che a sua volta ha venduto a Santander.
Il momento più bello, in questa lunga cavalcata, è legato alla fusione con Torino. «Fu una corsa contro il tempo, in una Milano svuotata dalle ferie estive. Nella sede dello studio legale Pedersoli ci ritrovammo in quattro per disegnare i confini dell’operazione sulla base delle linee guida ricevute dai vertici delle due banche: Piero Luongo e Bruno Mazzola per il SanPaolo, Paolo Grandi ed io per Banca Intesa – ricorda Gilli-. Prima riunione il 27 luglio 2006, una data indimenticabile: dovevo partire per le ferie, la mia seconda figlia non me lo ha perdonato per anni…». Il piccolo miracolo riesce. Il 25 agosto, meno di un mese dopo, il professor Giovanni Bazoli annuncia l’operazione, al Meeting di Rimini di Comunione e Liberazione. Il 26 si riuniranno i consigli di amministrazione delle due banche che daranno il via alla fusione. Ma qui prende il via la fase più difficile dell’operazione. L’Antitrust impose la cessione di centinaia di sportelli. Iniziò un’altra corsa contro il tempo. Il possibile partner era il Crédit Agricole e in quattro mesi si arrivò alla definizione della cessione. I francesi avevano anche una partecipazione nel capitale che andava rivista. L’accordo su tutto il programma, da Cariparma alla partecipazione azionaria, venne trovato in meno di quattro mesi: si ottenne il via libera dell’Antitrust e il 1° gennaio 2007 la fusione Intesa-Sanpaolo diventa operativa.
Il 2007 sarà l’anno di Carifirenze, un’aggregazione superiore ai 4 miliardi, mentre il 2008 porta alla trattativa sui securities services con State Street. A settembre è tutto pronto, ma il 15 di quel mese salta per aria Lehman brothers. «Fu il momento peggiore – sottolinea Gilli -. Ma imparammo a non darci per vinti. Il progetto finì nel cassetto, ma un anno dopo riprovammo e riuscimmo a chiudere a dicembre 2009 la cessione delle nostre attività per 1,7 miliardi di euro».

In sedici anni sono state finalizzate una cinquantina di operazioni, per un controvalore superiore ai 30 miliardi di euro, comprendendo Cariparma ed escludendo Sanpaolo e la più recente acquisizione delle ex popolari venete, curata invece da Paolo Grandi e dalla divisione Banca dei Territori. Di Npl si parla seriamente dal 2014, quando viene costituita l’unità dedicata. Il gruppo di dieci persone partito nel 2002 per il Sudamerica è diventato di 25 al momento della fusione con il Sanpaolo, ma nel 2014 con la montante pressione degli Npl raggiunge le 800 unità. «Gli Npl sono stati il grande impegno degli ultimi anni – evidenzia Gilli -, ma già nel 2005 Intesa cedette a Fortress un portafoglio di 10 miliardi di crediti ammalorati. Ecco, credo che la visione strategica che la banca ha avuto in questo periodo sia risultata vincente: la centralità delle fabbriche prodotto, che ci portò a creare Nextra, a cederla a Crédit Agricole e poi a ricomprarcela, ma anche il business assicurativo, gestito assieme a Generali, sono stati i segni più evidenti di una visione lungimirante. Noi, nel nostro piccolo abbiamo sempre goduto di autonomia operativa e abbiamo spaziato in molti settori, dal credito al consumo con Findomestic nel 2008, alla ridefinizione delle partite estere, non solo in Sudamerica ma anche in Ungheria, dove abbiamo ceduto 2,5 miliardi di Npl, fino all’Ucraina, dove 300 sportelli sono diventati una cinquantina».
All’alba dei 65 anni, Gilli, interista, sposato con Anna Patrizia, padre di Francesca che lavora in Lussemburgo, di Beatrice che dopo quella vacanza saltata oggi studia in Bocconi e di Guido, 16 anni, guarda al futuro di Intrum Italia, di cui è da un mese presidente. «Nel corso del precedente piano d’impresa abbiamo ridotto gli attivi non core, affidati alla Capital Light Bank, di 28 miliardi dai 52 iniziali. Poi c’è stato l’accordo con Intrum e la costituzione della nuova realtà italiana in cui rappresento Intesa Sanpaolo. E mentre un capitolo si sta chiudendo, nuove sfide sono già avviate». Nel segno delle assicurazioni e di un board in formazione.

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