Il Tesoro prepara la rete di sicurezza per banche e compagnie in caso di no deal. Ma tante sedi sono già state spostate e i clienti trasferiti nell’Ue
di Anna Messia

Grandi compagnie come i Lloyd’s di Londra hanno scritto lettere dettagliate ai clienti per rassicurarli che con la Brexit continueranno a garantire coperture e pagare i sinistri e anche in caso di mancato accordo tra l’Unione Europea e il Regno Unito le cose non cambieranno. Ma l’incertezza creatasi dopo il voto negativo della Camera dei Comuni all’intesa che era stata raggiunta il 13 novembre scorso è evidente. Tanto che il ministero dell’Economia ha annunciato che, in caso di no-deal, è pronto a emanare un decreto per non privare all’improvviso il mercato italiano dei servizi finanziari britannici nel settore bancario o dei pagamenti e ovviamente pure in quello assicurativo. Un intervento più volte sollecitato sulle pagine di MF-Milano Finanza. Il ministro Giovanni Tria è pronto a muoversi, in accordo con le autorità di vigilanza. Del resto in Italia lavorano 70 banche britanniche, 223 istituti di pagamento, 100 emittenti di moneta elettronica, 21 fondi pensione che assicurano il 12% delle prestazioni previdenziali erogabili e 58 compagnie assicurative.

Già lo scorso ottobre l’Ivass, l’istituto di controllo del settore assicurativo, presieduto da Salvatore Rossi, aveva chiesto alle imprese di informare i propri assicurati sulle conseguenze che l’uscita del Regno Unito avrebbe potuto avere sui contratti già stipulati. La questione non riguarda imprese inglesi che hanno creato una propria struttura societaria di diritto italiano e quindi già controllata da Ivass, come Aviva per esempio, ma compagnie che operano in regime di stabilimento o di libera prestazione di servizio, regolate oggi dall’autorità assicurativa inglese. A partire dal prossimo 30 marzo il Regno Unito sarà a tutti gli effetti uno Stato terzo, con conseguente discontinuità nei rapporti bilaterali con l’Unione Europea. L’obiettivo del governo è perciò di introdurre un congruo periodo transitorio per consentire agli operatori inglesi di riposizionarsi in Europa, fase che potrebbe durare fino al 2020.
Restano però diversi interrogativi che non hanno ancora una risposta. Le imprese inglesi che operano in Italia in libera prestazione di servizi o in libertà di stabilimento potranno emettere nuovi contratti o la loro l’attività sarà limitata solo alla gestione delle vecchie polizze? La questione appare ancora aperta anche perché quella predisposta dal ministero è per ora solo una rete di sicurezza, pronta a scattare con un decreto, nel caso in cui il recesso del Regno Unito dall’Ue avvenga senza un accordo. Venerdì 25 si è svolta a Palazzo Chigi una riunione della task force Brexit, presieduta dall’ambasciatore Pietro Benassi, con una delegazione di esperti della Commissione europea, in cui si è discusso tra l’altro della messa in sicurezza dei diritti dei cittadini, della preparazione di imprese e infrastrutture (porti, aeroporti, dogane) oltre che di interventi nel settore dei servizi finanziari.

Intanto le compagnie assicurative inglesi, per farsi trovare pronte alla Brexit, hanno iniziato ad aprire proprie sedi in altri Paesi dell’Ue, prevalentemente Lussemburgo, Irlanda e Belgio. I Lloyd’s di Londra, che in Italia hanno un giro d’affari superiore a 500 milioni di euro, hanno scelto per esempio di creare una nuova società a Bruxelles che ha già aperto 19 uffici in tutta Europa e la cui attività è iniziata lo scorso novembre. Per quanto riguarda le polizze danni preesistenti i Lloyd’s sono pronti, come del resto le altre compagnie inglesi, a onorare gli impegni contrattuali e nel frattempo stanno lavorando per trasferire in capo alla compagnia di Bruxelles tutti gli affari chiusi all’interno dello spazio economico europeo tra il 1993 e il 2018 prima della fine del periodo di transizione.
Tra le compagnie con sede in Inghilterra che operano in Italia in regime di stabilimento con un giro d’affari importante c’è sicuramente Am Trust. La società, che fa parte al gruppo americano quotato a New York, ha in mano una parte preponderante del mercato italiano dell’Rc medica, assicurando asl e ospedali. Nella lettera che ha inviato ai clienti, Am Trust fa sapere di essere pronta a garantire continuità assumendosi «l’obbligo di non venir meno agli impegni contrattuali assunti anche dopo la data della Brexit e fino alla naturale scadenza di tali obblighi».
L’intenzione è evitare il più possibile incertezze e in AmTrust hanno deciso di trasferire nella partecipata irlandese (operativa già dal 2016 ed estranea alla vicenda Brexit) tutti i contratti arrivati a scadenza che hanno una clausola di tacito rinnovo. Allo stesso tempo hanno avviato le pratiche all’Ivass per poter operare in breve tempo con una compagnia di diritto italiano (rilevando tra l’altro anche Bap Assicurazione Danni). Anche Chubb ha spostato la propria sede fuori dal Regno Unito, scegliendo di muovere alla volta della Francia. Resta poi da capire cosa deciderà di fare Londra con le regole europee di Solvency II che hanno fissato i requisiti di capitale delle assicurazioni. Proprio gli inglesi sono stati i principali fautori della valutazione dei bilanci a mercato, alla base delle regole di Solvency II, ma senza la firma di un accordo sull’uscita anche su questo fronte aumentano inevitabilmente le incertezze. (riproduzione riservata)

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