Il tempo si è fermato per maestre d’asilo, facchini, spazzini e operai agricoli. Almeno dal punto di vista pensionistico, infatti, per tali categorie di lavoratori (e per altre che appartengono ai c.d. «lavori gravosi») non ci sarà il programmato aumento di cinque mesi del requisito d’età ai fini del pensionamento (vecchiaia e/o anzianità) decorrente dal prossimo 1° gennaio 2019. A stabilirlo è la legge Bilancio 2018 che ha modificato il criterio di calcolo della speranza di vita.

La «speranza di vita».

Quando andrò in pensione? Quanto prenderò di pensione? Le variabili che condizionano sia l’accesso alla pensione e sia la misura sono due: l’età anagrafica e i contributi versati all’Inps. Un tempo l’età anagrafica era fissata per legge ed era immodificabile se non per mezzo di una nuova legge. Oggi, invece, vige un particolare criterio che, automaticamente, senza necessità di un intervento specifico da parte di una legge, produce aumenti al requisito d’età per l’accesso a tutte le pensioni in misura pari alla variazione della c.d. «speranza di vita». Questa «speranza di vita» altro non è che un modo per indicare l’indice statistico, calcolato dall’Istat, che misura la probabilità di vita: se la vita si allunga, automaticamente si elevano anche tutti i requisiti anagrafici (l’età) per la pensione.

L’ultimo adeguamento alla speranza di vita c’è stato il 1° gennaio 2016, quando tutti i requisiti hanno subito l’innalzamento di quattro mesi; il precedente e primo adeguamento c’era stato a gennaio 2013. Il prossimo adeguamento, il terzo, ci sarà dall’anno 2019 e d’allora in avanti gli aumenti saranno biennali. Qui, tuttavia, è intervenuta la legge di Bilancio 2018, introducendo alcune novità.

Il calcolo della speranza di vita. In primo luogo ha modificato il meccanismo di calcolo dell’adeguamento, a partire dal 2021, prevedendo che si deve far riferimento alla media dei valori della probabilità di vita registrati nei singoli anni del biennio di riferimento rispetto alla media dei valori registrati nei singoli anni (dello stesso biennio precedente). Finora, invece, si è fatto riferimento alla differenza di valore tra l’ultimo anno del biennio (o del triennio di riferimento) e l’ultimo anno del periodo precedente; e così ancora sarà per l’adeguamento che ci sarà dal 2019. Per l’adeguamento successivo (decorrente dal 2021 e per il quale il biennio di riferimento è costituito dagli anni 2017-2018) si farà riferimento alla differenza tra la media dei valori registrati nei singoli anni del suddetto biennio 2017-2018 e il valore registrato nell’anno 2016. Per gli adeguamenti ancora successivi, si dovrà fare riferimento alla media dei valori registrati nei singoli anni del biennio di riferimento rispetto alla media dei valori registrati nei singoli anni del biennio precedente.

Un limite all’adeguamento. In secondo luogo la legge Bilancio ha stabilito che, a partire dall’adeguamento previsto dal 1° gennaio 2021:

gli aumenti della speranza di vita non potranno essere superiori a 3 mesi (con recupero dell’eventuale eccedenza in occasione dell’adeguamento o degli adeguamenti successivi);
gli adeguamenti non avranno luogo qualora la variazione sia di segno negativo, salvo, anche in questo caso, il recupero della variazione negativa in sede di adeguamenti successivi mediante compensazione con gli eventuali incrementi).
Gli «esentati» dalla speranza di vita.

In terzo luogo ha previsto l’esclusione dall’incremento della speranza di vita, pari a 5 mesi con decorrenza dal 1° gennaio 2019, dei requisiti per la pensione di vecchiaia e per la pensione anticipata nelle seguenti situazioni:

lavoratori dipendenti che svolgano da almeno 7 anni, nell’ambito dei 10 anni precedenti il pensionamento, le professioni di cui all’allegato B alla legge Bilancio 2018 (si veda tabella) e che siano in possesso di un’anzianità contributiva pari ad almeno 30 anni;
lavoratori addetti a lavorazioni particolarmente faticose e pesanti (cd «usuranti», ex dlgs n. 67/2011), a condizione che le stesse attività usuranti siano svolte al momento dell’accesso al pensionamento e siano state svolte per una certa durata nel corso della carriera lavorativa e i lavoratori siano in possesso di anzianità contributiva non inferiore a 30 anni;
lavoratori precoci;
soggetti che godano, al momento del pensionamento, dell’Ape sociale.
Alle precedenti categorie di lavoratori, inoltre, la legge Bilancio ha stabilito anche l’esclusione dall’elevazione del requisito d’età per la pensione di vecchiaia a 67 anni, previsto a partire dal 1° gennaio 2021 dalla riforma Fornero (art. 24, comma 9, del dl n. 201/2011), come norma di principio generale (a prescindere, cioè, dall’esito degli automatici adeguamenti che ci saranno fino al 31 dicembre 2020).

La legge Bilancio ha demandato a un decreto, da emanarsi entro il 31 gennaio, la definizione delle modalità attuative delle nuove norme, con particolare riguardo alle specificazioni delle professioni gravose e alle procedure per presentare la domanda di accesso al beneficio e per la verifica della sussistenza dei requisiti da parte dell’Inps.

© Riproduzione riservata
Fonte:
logoitalia oggi7