In caso di truffa sui fondi Ue la società trae vantaggi
di Dario Ferrara

La società è condannata in base al dlgs 231/01 per la truffa sui fondi Ue architettata dall’amministratore unico, che incassa i contributi ma poi non li investe come dovrebbe. La responsabilità amministrativa dell’ente si configura perché il reato del legale rappresentante risulta compiuto nell’interesse della spa. È quanto emerge dalla sentenza 295/17, pubblicata il 9 gennaio dalla Cassazione. La spa risponde in base agli artt. 5, comma 1, lett. a), 6 e 24 del dlgs 231/01. Con un giro di fatture l’amministratore trae in inganno la banca concessionaria dei fondi Pia innovazione, che incentivano investimenti tecnologici nel Sud: gli impianti sono costruiti solo sulla carta. Viene condannato anche l’ente soltanto se il reato commesso dalla persona fisica è consumato nel suo «interesse o vantaggio», mentre la responsabilità risulta esclusa quando l’illecito penale è compiuto nell’esclusivo interesse di chi agisce o di terzi. Ma l’interesse esclusivo dell’amministratore, ad esempio, si configura soltanto per condotte estranee alla politica d’impresa. Mentre rientrano nell’interesse dell’ente tutte le condotte che trovano una spiegazione e una causa nella vita societaria. E il vantaggio di cui beneficia la società è ogni utilità, potenziale o effettiva, che si può valutare ex post sulla base degli effetti che in concreto derivano dalla realizzazione dell’illecito. Nel nostro caso grazie ai finanziamenti non sfruttati la spa consolida la sua posizione sul mercato di riferimento. E non emerge che abbia modelli di gestione adeguati a garantire la trasparenza. Insomma: la società si giova del reato compiuto dal suo organo apicale perché incrementa in modo illecito le sue disponibilità senza poi impiegare i finanziamenti agevolati.
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