Diffamazione commessa dall’utente: gestore complice
di Antonio Ciccia Messina

Il gestore del sito Internet è complice della diffamazione commessa dall’utente che carica un testo. La responsabilità, però, non scatta per la sola posizione di gestore del sito, ma sulla base della agevolazione prestata alla commissione della diffamazione. Ad esempio mantenendo consapevolmente il documento sul sito e consentendo, con l’omessa rimozione, che lo stesso sviluppi la sua efficacia diffamatoria.

Il principio formulato dalla Cassazione, sezione quinta penale, sentenza 54946 del 14/7/2016 depositata il 27/12/2016, dettaglia le condizioni alle quali si può commettere online il reato di concorso in diffamazione e ammette la responsabilità del titolare del sito per omessa rimozione di contenuto consapevolmente offensivi.

Attenzione, tuttavia, a non generalizzare la pronuncia, che non riguarda la responsabilità dei provider.

Per il provider vige, infatti, il principio della assenza di un dovere generale di sorveglianza sui contenuti (articolo 17 del dlgs 70/2003.

Ma analizziamo, innanzi tutto, il contenuto della sentenza.

I fatti riguardano la pubblicazione su un sito internet che si occupa di calcio di un commento di un soggetto che consulta frequentemente il sito (fa parte, come si dice in gergo, della community). Il commento, autonomamente caricato dall’utente, riportava espressioni offensive su un personaggio del calcio italiano. La questione, oggetto del giudizio, è la responsabilità del gestore del sito: in primo grado è stato assolto, in appello condannato e la condanna (per concorso in diffamazione) è stata ora confermata dalla cassazione.

La pronuncia si sofferma sugli elementi che configurano questa responsabilità, che viene rintracciata, non tanto in un obbligo generalizzato di sorveglianza, quanto in una condotta di agevolazione.

Si legge nella sentenza che il gestore del sito ha mantenuto il documento sul sito (descritto come un articolo) «consentendo che lo stesso esercitasse l’efficacia diffamatoria» per una decina di giorni (fino all’esecuzione di un provvedimento cautelare di sequestro del sito).

La cassazione ha ritenuto accertato che il titolare del sito avesse consapevolezza e coscientemente abbia voluto mantenere il documento online.

Dal tenore della decisione si può dedurre che l’assenza degli elementi indicati (consapevolezza del tenore offensivo del commento pubblicato e volontà di mantenere la diffusione dello stesso) porterebbe a risultati diversi.

In materia si deve, infatti, ricordare che il decreto legislativo 70/2003, all’articolo 17, dispone che nella prestazione dei servizi online di semplice trasporto (trasmettere, su una rete di comunicazione, informazioni fornite da un destinatario del servizio, o nel fornire un accesso alla rete di comunicazione), di caching (memorizzazione automatica, intermedia e temporanea di informazioni trasmesse in rete effettuata al solo scopo di rendere più efficace il successivo inoltro ad altri destinatari a loro richiesta) e di hosting (informazioni memorizzate a richiesta di un destinatario del servizio) il prestatore (il provider) non è assoggettato ad un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmette o memorizza, né ad un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite.

Questo non significa che il provider sia esonerato da ogni adempimento: una volta a conoscenza dell’illecito deve senza indugio avvisare le autorità, fornire loro i dati per individuare il colpevole.

Inoltre l’omessa informativa all’autorità o l’omessa rimozione del documento, su ordine dell’autorità, fonda la responsabilità civile per danni del provider.

Su queste basi la cassazione (sentenza della sezione terza, n. 5107 del 17/12/2013) ha escluso la responsabilità per il reato di trattamento illecito di dati personali a carico degli amministratori e dei responsabili di una società fornitrice di servizi di «Internet hosting provider», che ha memorizzato e reso accessibile a terzi un video contenente dati sensibili, in quanto il contenuto multimediale è stato rimosso immediatamente dopo le segnalazioni di altri utenti e la richiesta della polizia.

In ogni caso non c’è violazione della libertà di informare se si impone a un sito di rimuovere espressioni offensive (Gran Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 10 giugno 2015, nel caso n. 64569/09).

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