DI CARLO PELANDA

L’immagine di un’Italia troppo vulnerabile al rischio sismico, idrogeologico, vulcanico e
di tsunami avrà un impatto negativo crescente sul marchio territoriale, sugli indici di affidabilità finanziaria, sugli investimenti e  quindi sul Pil. Finora l’esposizione di
quasi due terzi del territorio italiano a eventi fisici estremi che possono
eccedere il loro assorbimento senza danni, non ha avuto conseguenze sui
calcoli di rischiosità economica per la relativamente bassa, e concentrata
localmente, frequenza degli impatti. Ora l’attività sismica continua
nell’area appenninica sta portando le attenzioni degli attori economici
a valutare il rischio territoriale, evidenziandone l’estensione.
Il Giappone ha minimizzato con certa efficacia un problema
simile, attuando grandi programmi governativi di prevenzione, considerando che l’economia nipponica dipende meno da investimenti e flussi
di turismo esteri di quella italiana. Il nostro governo sembra voler aspetta-
re la fine dello sciame sismico in atto che amplifica il rischio percepito, per
procedere con un piano solo selettivo di prevenzione, sostenibile dalla spe-
sa pubblica. Comprensibile.
Ma il criterio di calibrare la prevenzione in base ai limiti di spesa ha un’elevata probabilità di essere controproducente: un prossimo evento dannoso avrebbe un impatto
simbolico/economico amplificato perché evidenzierebbe un gap costante
di sicurezza sistemica.
Pertanto sarebbe razionale avviare un maxiprogramma di riduzione to-
tale della vulnerabilità del territorio in 15-20 anni: se credibile, ridurrà
gli impatti comunicativi di eventuali emergenze di massa nel frattempo. Il
programma dovrà essere necessariamente sostenuto da spesa pubblica
pur con inserimenti di investimenti privati in alcuni settori.

Da un lato, una prima stima del costo, quasi 2,5 trilioni in un
ventennio, ne fa ipotizzare l’infattibilità.
Dall’altro, un’economia di scala per gli interventi di sicurezza, l’impiego
di nuove tecnologie e formule innovative d’ingegneria delle costruzioni
e delle infrastrutture potranno ridurre di quasi l’80% questa somma.
Inoltre tale programma diventerebbe un megainvestimento prolungato
capace di spingere un boom duraturo di crescita e darebbe all’industria
italiana un’esperienza tale da renderla competitiva per interventi
nei circa sessanta Paesi con simili problemi, migliorando in generale il
marchio Italia.
Invito il governo a fare una simulazione che valuti la preven-
zione come un investimento profittevole per il sistema, non come un
costo secco, e a iniziarne a studiare l’architettura finanziaria

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