Anche in caso di danno micro-permanente deve ritenersi consentita la liquidazione del danno morale come voce di danno non patrimoniale, in aggiunta al danno biologico previsto dall’art. 139 del codice delle assicurazioni

In caso di incidente stradale il danno morale, conseguente alle lesioni, va sempre provato, sia pure per presunzioni, non sussistendo alcuna automaticità parametrata al danno biologico patito.

E ciò è tanto più vero nel caso di lesioni minori (micro-permanenti), laddove non sempre vi è un ulteriore danno in termini di sofferenza da ristorare.

Dunque, se in linea di principio neanche con riguardo alle lesioni di lieve entità si può escludere il c.d. danno morale dal novero delle lesioni meritevoli di tutela risarcitoria, per valutare e personalizzare il danno non patrimoniale, si deve però tener conto della lesione in concreto subita.
Questa impostazione è conforme alla sentenza n. 29191 del 2008, ove si afferma l’autonomia ontologica del danno morale, e la necessità di un suo accertamento separato e ulteriore.
Diversamente opinando, infatti, si arriverebbe ad una incomprensibile differenziazione tra i danni di lieve entità derivanti da causa diversa da sinistro stradale, liquidati mediante ricorso al sistema tabellare equitativo, in virtù del principio di liquidazione totale del danno, e i danni da sinistro stradale che comporterebbero una minore tutela del danneggiato.

Ne consegue che, anche in caso di danno da micro-permanente deve ritenersi consentita la liquidazione del danno morale come voce di danno non patrimoniale, in aggiunta al danno biologico previsto dall’art. 139 del codice delle assicurazioni private.

Questo significa però che è il danneggiato a essere onerato dall’allegazione di tutte le circostanze utili ad apprezzare la concreta incidenza della lesione patita in termini di sofferenza/turbamento e della prova degli stessi, anche mediante lo strumento delle presunzioni.
Nel caso in esame, come emerge dall’impugnata sentenza, il danneggiato si è limitato a domandare il ristoro del danno morale, in aggiunta del pregiudizio biologico, omettendo tuttavia di argomentare sull’incidenza della lesione patita in termini di sofferenza.
In definitiva va esclusa ogni prassi di automaticità nel riconoscimento del danno morale soggettivo, meramente parametrato al danno biologico, perché produttivo di duplicazioni risarcitorie che si traducono, in ultima analisi, in una ingiusta locupletatio del danneggiato, mentre la domanda risarcitoria, volta al ristoro della sofferenza soggettiva, nella misura in cui essa travalichi il quantum riconosciuto sulla base delle note tabelle per la lesione all’integrità psicofisica, deve essere supportata da un’attività almeno di allegazione dei fatti su cui fondare il metodo presuntivo.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, 27 agosto 2015 n. 17209