In azione gli hedge fund, i grandi portafogli internazionali (che vanno corti di azioni bancarie e lunghi di debito degli istituti stessi) e i day-trader. Ma pesa anche la bagarre tra Renzi e Commissione Europea

di Marcello Bussi 

Ieri sembrava finalmente la volta buona. Niente di speciale, ma comunque Piazza Affari era partita in leggero rialzo. Di questi tempi, una notizia. Ma dopo essere arrivato a guadagnare lo 0,7%, poco prima delle ore 10, il Ftse Mib è tornato in negativo e da lì è cominciata la caduta.

Le vendite si sono concentrate in particolare sulle banche. Sembrerebbe un copione già visto nei giorni scorsi. Con la differenza che ieri, tra le più importanti borse europee, a scendere in misura sostanziosa è stata solo piazza Affari: il Ftse Mib ha chiuso in calo del 2,6% a 18.687 (ai minimi da un anno), mentre Francoforte ha ceduto solo lo 0,2%, Londra lo 0,4%. Tutto è partito quando nelle sale operative sono girate voci di fallimento di Mps , titolo che è stato sospeso più volte dalle contrattazioni per poi chiudere in ribasso del 14,8%. La Consob ha vietato le vendite allo scoperto su Mps  per tutta la seduta odierna e ieri il presidente Giuseppe Vegas ha dichiarato che «ci sono mani italiane e mani estere sul titolo». (vedere articolo a pagina 3)

Per il solito effetto contagio anche il resto del settore è stato bombardato dalle vendite: Intesa Sanpaolo  ha perso il 5%, Unicredit  il 5,4%, Mediobanca  il 4,8%, Banco Popolare  il 6,7%, Ubi il 7,3%, così comeCarige .

A mercati chiusi, come racconta l’articolo a pagina 4, gli istituti tricolore hanno poi comunicato se saranno sottoposti o meno ai controlli sulla valutazione della strategia, del governo, dei processi e della metodologia sul fronte della gestione dei non performing loan.

A vendere a piene mani sono stati gli hedge fund, che amplificano i movimenti di mercato, ma anche i piccoli risparmiatori. Ma ci sono anche grandi portafogli internazionali che da una settimana a questa parte vanno corti di azioni bancarie italiane e lunghi di credito (short equity/long credit, in gergo), ovvero di derivati e/o bond subordinati e altra carta a debito delle banche italiane. Poi smontano e ricominciano. Chi ha adottato questa strategia una settimana fa, ha già portato a casa un bel 30% di capital gain. E infine non va sottovalutato l’intervento dei sistemi automatici che scaricano in massa su certi livelli e l’operatività dei day trader italiani che sono stati molto attivi in lettera a partire dalle 11 di ieri mattina.

Roberto Russo di Assiteca Sim osserva che «in modo assolutamente preciso sono state colpite le nostre banche.

Va ricordato che siamo in una fase politica cruciale visto che a momenti si prenderà una decisione sulla bad bank e a breve dovrebbe partire il consolidamento delle popolari. Questo non è casuale visto il violento scontro tra la Commissione Europea e il governo italiano». Dello stesso avviso è Andrea De Gaetano, senior portfolio manager di Mc Capital: «Sembra quasi che la battaglia sul piano politico», vale a dire lo scontro tra il presidente della Commissione Ue, Jean Claude Juncker, e il presidente del Consiglio Matteo Renzi «si sia trasferita in borsa».

Insomma, forte è il sospetto che ci sia stato un vero e proprio attacco all’Italia. Anche ieri, c’è stata nuova tensione fra Bruxelles e Roma. Fonti della Commissione Ue hanno fatto trapelare alla stampa che venerdì scorso Juncker ha perso la pazienza a causa dei troppi malintesi nati perché «Bruxelles non ha un interlocutore per dialogare con Roma sui dossier più delicati». Affermazione pesantissima, come dire che a Roma non c’è un governo o che è comunque sgradito. «Abbiamo un governo, un presidente del Consiglio, un ministro degli Esteri, un ministro degli Interni, un ministro dell’Economia. A seconda delle questioni, l’Italia ha un governo nel pieno dei suoi poteri», ha replicato il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni. In serata è poi scesa in campo l’alto rappresentante della politica estera Ue, Federica Mogherini, reduce dal grande successo dei negoziati con l’Iran che hanno portato alla fine delle sanzioni nei confronti del Paese degli ayatollah, affermando che gli interessi dell’Italia e dell’Unione europea «coincidono» e «in particolare sulla flessibilità in campo economico e sull’immigrazione l’Italia e la Commissione lavorano per raggiungere gli stessi obiettivi».

Tutto fa pensare, comunque, che a Bruxelles, per non parlare di Berlino, non sia stata ancora digerita questa affermazione di Renzi: «L’Italia non si fa telecomandare». Il tema è sempre lo stesso: chi manifesta in maniera decisa il proprio dissenso rispetto alle decisioni di Bruxelles, che poi sono quelle di Berlino, viene invitato con le buone o con le cattive a lasciare la poltrona. È stato il caso di Silvio Berlusconi in Italia e del ministro delle Finanze Yanis Varoufakis in Grecia. In serata fonti della Commissione Ue hanno cercato di ammorbidire lo scontro precisando che il vero problema sembra essere l’assenza di uno sherpa, ovvero un rappresentante personale del premier, una sorta di consigliere diplomatico per la Ue, che possa venire a Bruxelles regolarmente, stabilendo una rete di relazioni, e incontrando anche più volte alla settimana i vertici tecnici delle istituzioni, e in particolare il gabinetto Juncker. La ricetta per una comunicazione riuscita con Roma, insomma, è di avere sia un ottimo ambasciatore presso la Ue che un ottimo sherpa del premier, e che quest’ultimo spieghi al premier ciò che pensano i vertici della Commissione e che dica a Bruxelles che cosa pensa il premier. Perché la percezione oggi è che Renzi non sia adeguatamente informato. Resta comunque la sgradevole sensazione che Renzi sia finito nel mirino della Commissione Ue (e anche, guarda caso, della stampa tedesca). E nei casi precedenti l’insofferenza di Bruxelles è stata curiosamente accompagnata da forti turbolenze sui mercati finanziari. Certo, è impossibile un bis del 2011, quando l’impennata dello spread oltre i 500 punti base costrinse Berlusconi a lasciare Palazzo Chigi. Ieri lo spread è salito a 110 punti base dai 109 di venerdì scorso, corrispondenti a un rendimento del Btp decennale dell’1,568%. Un aumento minimo, una situazione perfettamente gestibile. Tutto merito del Qe della Bce che, grazie agli acquisti di titoli di Stato sul mercato secondario, tiene bassi i rendimenti. Poiché non si può attaccare l’Italia su questo fronte, chi vuole mandare un avvertimento non ha altra scelta che fare scendere Piazza Affari. E poiché le banche italiane stanno soffrendo a causa dell’incertezza derivante dalle nuove regole europee del bail-in, entrate in vigore all’inizio dell’anno, e per il carico di sofferenze e crediti deteriorati che le affligge e che l’ancora debole ripresa economica non può alleggerire, le vendite si sono concentrate proprio su questo settore.

Sull’andamento di Piazza Affari ha comunque pesato anche l’ennesimo calo dei prezzi del petrolio, con il Wti a 28,94 dollari al barile (-1,6%) e il Brent a 28,62 dollari (-1,1%) a seguito della fine delle sanzioni all’Iran, che ha subito ordinato un aumento di 500 mila barili al giorno della sua produzione di petrolio.

Alla fine non resta che affidarsi a Draghi: dopodomani il presidente della Bce terrà una conferenza stampa dopo la riunione del Consiglio direttivo a Francoforte. Sarà «presumibilmente interessante» ascoltare quello che dirà a proposito del nuovo calo dei prezzi del petrolio e delle ripercussioni sull’andamento dell’inflazione nell’Eurozona, ha affermato Hendrik Lodde, analista di Dz Bank, che comunque non si aspetta per ora l’adozione di misure concrete di accomodamento monetario. (riproduzione riservata)