La prima sezione del Tribunale civile di Milano è intervenuta con una sentenza depositata il 17 luglio dello scorso anno, sull’ambito applicativo e la portata precettiva dell’art. 3, primo comma della legge n. 189 del 2012 nei suoi risvolti civilistici.

La sentenza ha offerto un’interpretazione che valorizza l’espresso riferimento in tale norma contenuto alla responsabilità aquiliana in relazione alla posizione del medico c.d. dipendente o collaboratore di una struttura sanitaria (pubblica o privata), il quale si rapporti con il paziente solo in tale veste e, dunque, al di fuori di un contratto (diverso da quello concluso con la struttura) eventualmente stipulato a latere con il paziente.

Il Tribunale di Milano ha tratti le conseguenze sia sul piano probatorio affermando che in tali casi l’obbligazione risarcitoria del medico (e quella degli altri esercenti professioni sanitarie), può scaturire solo in presenza di tutti gli elementi costitutivi dell’illecito aquiliano (che il danneggiato ha l’onere di provare), sia sul piano prescrizionale.

La norma citata (ed il riferimento all’art. 2043 del codice civile) non incide, invece, né sul regime di responsabilità civile della struttura sanitaria (pubblica o privata), né su quello del medico che ha concluso con il paziente un contratto d’opera professionale (anche se nell’ambito della cd attività libero professionale svolta dal medico dipendente pubblico).

«L’impatto di questa linea interpretativa nei giudizi civili è limitato ai casi in cui la domanda risarcitoria sia proposta solo nei confronti del medico c.d. dipendente da una struttura di cura il quale non abbia stipulato alcun contratto con il paziente», spiega Giulio Ponzanelli, partner di Bonelli Erede Pappalardo. «E ciò accade molto raramente visto che il paziente rivolge la propria pretesa risarcitoria quasi sempre, se non sempre, nei confronti della struttura di cura ,basandosi sulla responsabilità da inadempimento della predetta anche in relazione al fatto dei proprio ausiliari.

C’è da sperare che le strutture sanitarie siano davvero in grado di fornire maggiori garanzie di solvibilità. Come precisato dal Tribunale di Milano, nel caso in cui sia coinvolto nel giudizio anche il medico c.d. dipendente e qualora le domande risultino fondate nei confronti di entrambi i convenuti (seppure in base a distinti criteri di imputazione), essi saranno tenuti in solido al risarcimento del danno a norma dell’art. 2055 c.c.

Difficile prevedere se tale modificazione giurisprudenziale possa davvero (non tanto in astratto, quanto in concreto) favorire la c.d. alleanza terapeutica tra medici e pazienti e contrastare il fenomeno della c.d. medicina difensiva, non saprei proprio dire. Credo che su tale fronte possano fare molto e meglio politiche di gestione del rischio proattive e realmente condivise»

«Secondo il Tribunale di Milano», aggiunge Renato Fedeli, Fondatore e partner dello Studio Legale Vergani & Fedeli, «al di fuori dei casi in cui il paziente sia legato al professionista da un rapporto contrattuale, il criterio attributivo della responsabilità civile al medico va individuato in quello della responsabilità da fatto illecito ex art. 2043 c.c. Se il criterio attributivo della responsabilità è extracontrattuale, il danneggiato dovrà provare la colpa del medico e la prescrizione sarà quinquennale, mentre in caso di responsabilità contrattuale sarà il medico a dover fornire prova di essersi comportato secondo i criteri della buona scienza medica e la prescrizione sarà decennale. In presenza di contratto professionale o di contatto sociale, quindi, il sistema della responsabilità civile da colpa medica non viene alleggerito dalla Legge Balduzzi, atteso che la responsabilità della struttura sanitaria pubblica o privata – sia essa parte del Ssn o una impresa privata non convenzionata – resta comunque di tipo contrattuale ex art. 1218 c.c.».