Marco Panara

N el 2016 gli azionisti di Intesa Sanpaolo potrebbero scoprire che i 5 miliardi dell’aumento del capitale del 2011 sono stati in realtà una sorta di prestito. «Abbiamo capitale in eccesso e se i requisiti patrimoniali non saranno inaspriti, la parte che non sarà assorbita da eventuali acquisizioni sarà restituita agli azionisti». Carlo Messina è amministratore delegato della prima banca italiana da 14 mesi e si trova nella invidiabile posizione di avere troppi soldi in cassa: dopo gli stress test effettuati della Bce circa 13 miliardi. Il Santander invece aumenta il capitale. «E molti altri lo faranno nei prossimi mesi». osa glielo fa pensare? C «L’esito dell’esercizio di valutazione di Francoforte spingerà molti istituti a rafforzare il patrimonio, e chi non riuscirà a farlo sul mercato si accorperà con istituti più robusti. Intesa Sanpaolo si trova nella situazione opposta, in Europa è ai primissimi posti per i requisiti patrimoniali». Accorpamenti ci saranno anche in Italia e voi avete capitale in eccesso da investire. «Nell’area retail non faremo acquisizioni né in Italia né all’estero». Quindi niente Mps o Carige. «Niente Mps o Carige. Cercheremo invece anche la crescita esterna nei settori del private banking e dell’asset management». Nel private banking sembra siano entrate nel vostro mirino la Banca Cesare Ponti e la britannica Coutts. «La Cesare Ponti è una piccola realtà che non cambierebbe la nostra struttura, diverso invece è il caso di Coutts, che è un marchio globale importante. Ma la Royal Bank of Scotland, che la possiede, ha messo in vendita solo la parte internazionale volendo conservare la casamadre londinese e il marchio. A queste condizioni non ci interessa». Cosa cercate? «Un marchio internazionale forte a prezzi corretti, e guardiamo a Regno Unito, Stati Uniti, Svizzera e Asia». Perché avete deciso di crescere in questo settore? «Perché in Italia ci sta dando molte soddisfazioni e pensiamo di poter giocare un ruolo importante anche a livello internazionale. In Italia abbiamo Intesa Sanpaolo Private Banking e Fideuram, che cominceranno ad operare anche a Londra per la clientela italiana, e riteniamo che questa attività possa crescere in misura rilevante». Pensate di unire le due società? «Stiamo valutando se costituire una holding con due società distinte oppure due società giuridiche diverse all’interno di una stessa divisione. Quello che è certo è che i marchi resteranno in vita e i bankers con i loro clienti resteranno sotto i rispettivi marchi. Il prossimi passi saranno la creazione di una nuova area per i patrimoni più elevati all’interno di ISP Private Banking o con un muovo marchio e la crescita esterna attraverso acquisizioni soprattutto all’estero». La seconda area dove volete crescere è l’asset management. «Vogliamo aumentare le dimensioni e internazionalizzare questa attività, lo faremo scegliendo il partner giusto ma conservando il 51%: la precondizione di tutto è che non cederemo il controllo del risparmio degli italiani. L’obiettivo è crescere, e sia per il private banking che per l’asset management sono pronto a considerare la possibilità di quotare le due società se può rendere più facile questo processo di crescita». Il terzo pilastro sono le assicurazioni, ma in quel settore di acquisizioni lei non ha mai parlato. «Siamo diventati i primi in Italia come produzione nel vita con una forte crescita interna. Non ci dispiacerebbe investire all’estero anche in questo settore ma i mercati sono presidiati da operatori forti e realisticamente è difficile che si creino opportunità davvero interessanti». Private banking, asset management, assicurazioni: state cambiando il vostro dna? «Noi siamo una banca e continueremo ad esserlo. Da giugno 2011, quando lo spread era schizzato a 500 punti base, a due settimane fa, abbiamo erogato 120 miliardi di euro a medio e lungo termine, nel solo 2014 abbiamo erogato 28 miliardi, più delle erogazioni di tutte le altre banche messe insieme. Nel 2015 erogheremo 35 miliardi. Siamo quindi una banca perché facciamo essenzialmente credito. Poi abbiamo avuto l’intuizione di diversificare nel settore del risparmio e dell’investment banking, che con i loro profitti ci hanno consentito di andare avanti in questi anni nei quali le sofferenze si mangiavano tutti i margini da intermediazione la grande selezione è già avvenuta. Ce lo dicono le sofferenze e i crediti problematici la cui crescita si sta attenuando, che il picco su quel fronte è stato chiaramente superato. Quelli che hanno retto sono pronti a cogliere il miglioramento della congiuntura, che potrebbe essere stimolato da due fattori macroeconomici straordinariamente favorevoli, come la flessione dell’euro e la caduta dei prezzi del petrolio. Noi prevediamo per il 2015 una crescita del pil tra lo 0,4 e lo 0,6%, ma l’effetto euro e l’effetto petrolio potrebbero aggiungere più di qualche decimo di punto a questa previsione. Infine vorrei aggiungere l’Expo, che può dare una ulteriore spinta». Ora probabilmente arriverà anche il Quantitative Easing. Che effetto si aspetta? «Nella sostanza il Quantitive Easing è già in corso dal maggio scorso. Il vero obiettivo nella mia percezione è la svalutazione dell’euro, perché è la sola cosa che nel breve periodo può avere un effetto sull’economia reale. In questa accezione è già in essere e l’impatto è significativo. Ritengo ragionevole che partirà anche l’acquisto di titoli e mi aspetto una compressione degli spread e una ulteriore riduzione del tasso di cambio». A parte il cambio quali vantaggi può trarne l’economia Come spiega questa crescita della redditività nel settore del risparmio? «E’ il duplice effetto della propensione al risparmio delle famiglie indotta dal clima di incertezza e della discesa dei tassi sugli investimenti più tradizionali. Le famiglie hanno più liquidità e cercano nel risparmio gestito una redditività maggiore rispetto a quella offerta dai titoli di Stato». Questa incertezza è destinata a continuare? «Ci sono segnali positivi. Le imprese orientate all’export sono in recupero anche nella domanda di credito, per quelle rivolte alla domanda interna ». reale? «La riduzione di spread e tassi crea uno scenario favorevole per altre tipologie di investimento, l’importante è che le aziende colgano questa opportunità facendo aumenti di capitale per riequilibrare la propria struttura patrimoniale e per investire. Se questo accadesse il quantitative easing avrebbe un effetto particolarmente virtuoso». Il vostro piano industriale dedica particolare attenzione alla banca dei territori. Qual è il problema? «E’ il cuore della banca. Aveva fondamentali forti, i migliori clienti e il miglior posizionamento sul mercato, ma non guadagnava. Due anni fa, quando mi è stata affidata quella responsabilità mi sono chiesto perché e ho scoperto che il problema era la cura delle persone, la chiarezza della linea di comando. Coinvolgendo i capi delle aree regionali in pochi mesi abbiamo messo a punto un piano di azione che puntava a una semplificazione operativa rendendo esplicita la catena di comando, prevedeva investimenti sulle funzioni più redditizie e interventi sul credito e sugli incagli. I risultati si sono visti presto». Lei ha cambiato tutta la prima linea, era lì il problema? «No, noi abbiamo riorganizzato l’intera struttura e abbiamo dec
iso di fare due cose: affidare le leve del gruppo, non solo nella banca dei territori, a uomini e donne che hanno 10-15 anni di carriera davanti e creare percorsi per far crescere la classe dirigente del domani, con grande attenzione alla motivazione di tutti». Questa ristrutturazione cambia anche il perimetro del gruppo? «Ovviamente abbiamo fatto un forte investimento sulla multicanalità integrata ( la banca on line, ndr) dove contiamo già 4,5 milioni di clienti, ma riteniamo che il rapporto personale sia per i nostri clienti ancora fondamentale. Abbiamo quindi razionalizzato la rete che è già scesa da 6.300 a 3.800 sportelli e scenderà fino a 3.300, ma abbiamo allo stesso tempo deciso di tenere nel gruppo i 4.500 esuberi che erano previsti in precedenza perché la nostra linea non è ridurre il personale ma puntare sui ricavi, e i risultati ci stanno premiando». Sulla banca dei territori il grosso del lavoro sembra fatto, perché ha conservato la delega? «Abbiamo fatto la parte più importante, ora resta quella “politicamente” più delicata, l’integrazione di 11 delle sedici banche del gruppo. E’ un passaggio che tocca interessi e situazioni complesse ed è bene che se ne faccia carico l’amministratore delegato». A quali marchi rinuncerete? «Non abbiamo ancora deciso. Abbiamo fatto un sondaggio presso i nostri clienti e abbiamo scoperto che per loro sono più importanti le persone che il marchio. Le aggiungo che la razionalizzazione è inevitabile». In questa specie di rivoluzione avete ristrutturato anche l’area investment banking. «Abbiamo riorganizzato la struttura per settori industriali, per valorizzare le persone e le loro competenze in vista del grosso lavoro che ci sarà da fare soprattutto negli aumenti di capitale delle imprese nostre clienti. E abbiamo avviato anche qui il passaggio generazionale nominando il nuovo amministratore delegato di Banca Imi, mentre Gaetano Miccichè resterà al vertice della divisione fino alla scadenza del consiglio di gestione di Intesa SanPaolo del quale è membro». All’investment banking è stata sottratta però la gestione delle partecipazioni, passata a una nuova divisione che avete chiamato Capital light bank. Cosa fa? «E’ l’unità di business alla quale è stata affidata la gestione di tutte le attività che devono essere valorizzate e dismesse. Quindi crediti in sofferenza da recuperare o da cedere, prestiti internazionali sindacati cedibili e tutte le partecipazioni non strategiche da vendere». Tra queste ce ne sono alcune che, se non strategiche per voi, lo sono per i sistemi di potere del paese, da Telecom a Rcs. Che indicazioni ha dato per la loro cessione? «L’unico criterio è il risultato economico, non quello delle logiche di potere. Appena si creano le condizioni per guadagnarci o, in alcuni casi, per perderci il meno possibile, si vendono. Tutto qui». Lei ha cambiato praticamente tutte le prime linee della banca, quanto hanno pesato nelle scelte le Fondazioni azioniste? «Non ho avuto nessuna interferenza. La governance attuale con il presidente del consiglio di sorveglianza Giovanni Bazoli e il presidente del Comitato di gestione Gian Maria Gros Pietro mi ha consentito di gestire la banca in totale autonomia». Quindi il duale non è per lei un problema? «Le confesso che la questione non mi appassiona. Quello a cui sono molto interessato sono i poteri dell’amministratore delegato e non transigo sul fatto che debba avere tutti i poteri necessari per gestire la banca. Ora c’è una commissione del consiglio di sorveglianza che sta esaminando gli aspetti di governance per individuare la soluzione migliore per il gruppo». I primi nove mesi dell’anno hanno visto una notevole crescita delle redditività, qual è la situazione a fine 2014? «Sui risultati finali non commento. Confermo che quest’anno distribuiremo un miliardo di dividendi e confermo l’impegno a distribuire 10 miliardi di qui alla fine del piano». A destra, l’ad di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina: “Abbiamo ridotto le filiali senza esuberi. Puntiamo sull’aumento dei ricavi ” Qui sopra, la crescita in Borsa del titolo Intesa Sanpaolo dal settembre 2013 ad oggi: la banca italiana è al primo posto fra i grandi istituti internazionali