di Antonio Satta

Con un’accelerazione che ha stupito per primo il mondo bancario, in una settimana Matteo Renzi ha stralciato dal disegno di legge sulla concorrenza, che lo stesso governo ha messo in stand-by fino a giugno, la parte riguardante le banche popolari e l’ha inserita nel decreto per gli investimenti (Investment compact), che il consiglio dei ministri ha approvato ieri. 
Uno sprint che ha permesso al premier di scendere poi in sala stampa e dire, rivolto alle telecamere: «Siano in un momento storico. Dopo vent’anni di dibattito, la riforma è fatta». E poco male se protestano in tanti, soprattutto i leghisti e in particolar modo i veneti, come il governatore Luca Zaia, che amministra una regione particolarmente ricca di questi istituti. Chi si lamenta, è il senso delle parole di Renzi, ha nostalgia di un vecchio rapporto tra politica e credito, mentre l’obiettivo del governo è quello «di rafforzare il settore bancario e adeguarlo allo scenario europeo», senza però, ha aggiunto, cancellarne la vocazione territoriale. «Non si tratta di danneggiare la storia di piccoli istituti ma di far sì che le banche sul territorio siano all’altezza delle sfide europee e mondiali».

 

In realtà qualche pressione deve avere avuto effetto se nel decreto non c’è più traccia delle banche di credito cooperativo, le Bcc, che a una certo punto, nella travagliata nottata di lunedì, sembravano coinvolte anch’esse. E comunque le nuove regole scatteranno, come anticipato da MF-Milano Finanza, solo per le popolari che superano gli 8 miliardi di attivi. Secondo Renzi si tratta delle 10 più grandi, di cui sette quotate. Una volta firmato il decreto del Presidente supplente della Repubblica, Piero Grasso, questi istituti avranno 18 mesi di tempo per cambiare gli statuti, cancellare il voto capitario (che fa in modo che ogni azionista abbia un solo voto in assemblea a prescindere dalle azioni possedute) e trasformare le banche in spa. E se questo favorirà un nuovo processo di aggregazione, il governo non potrà che esserne contento, perché il problema, ha detto Renzi con una delle sue battute, «è che abbiamo troppi banchieri e poco credito».

Sulla stessa linea d’onda anche il ministro Piercarlo Padoan, secondo il quale la riforma «renderà le banche popolari più forti». Si tratta di «una misura che rafforza il sistema bancario italiano che andrà sempre meglio man mano che la ripresa si consolida». La trasformazione delle Popolari più grandi in spa, ha proseguito Padoan, «concilia la necessità di dare una scossa forte preservando però in alcuni casi una forma di governance che ha servito bene il Paese». E non si chiude la porta nemmeno a ulteriori modifiche. L’importanza, sembra di capire, era far partire una riforma troppo rinviata e attesa anche dall’Europa, anche se «andranno valutati in futuro altri suggerimenti di modifica della governance». Padoan ha però voluto smentire che il decreto sia stato varato senza un preventivo confronto con la Banca d’Italia, di cui il ministero, «quando si occupa di questioni bancarie ascolta i consigli». E «anche in questo caso c’è stata una condivisione».

Nel decreto sono poi finite le altre misure di cui si era parlato nei giorni scorsi, come la portabilità dei conti correnti, che dovrà avvenire «senza oneri o spese» a carico del cliente e nemmeno senza ritardi, Passati i tempi previsti, infatti, scatterà un rimborso proporzionale al ritardo e alle somme da trasferire.

Il governo ha deciso anche di permettere la costituzione di Sace in banca. La società di Cassa Depositi e Prestiti, infatti, «previa autorizzazione della Banca d’Italia» e «nel rispetto delle normative internazionali, europee e nazionali in materia» potrà fare direttamente credito. «a supporto dell’export e dell’internazionalizzazione dell’economia italiana».

Decisa anche la costituzione del Fondo per la patrimonializzazione e la ristrutturazione delle imprese italiane, meccanismo di intervento per casi come l’Ilva, mentre sono state rinviate ad altri provvedimenti le misure per garantire alle imprese estere l’invarianza delle regole fiscali per l’intera durata del loro investimento. (riproduzione riservata)