Il danno da perdita del rapporto parentale conseguente alla morte di un prossimo congiunto dev’essere integralmente risarcito mediante l’applicazione di criteri di valutazione equitativa, rimessi alla prudente discrezionalità del giudice; tali criteri devono tener conto dell’irreparabilità della perdita della comunione di vita e di affetti e della integrità della famiglia; la relativa quantificazione va operata considerando tutti gli elementi della fattispecie e, in caso di ricorso a valori tabellari, che vanno in ogni caso esplicitati, effettuandone la necessaria personalizzazione.

Secondo Sez. 3, Sentenza n. 13546 del 12/06/2006, il danno c.d. esistenziale da morte del congiunto, quale tipico danno-conseguenza che si proietta nel futuro, privo (come il danno morale ed il danno biologico) del carattere della patrimonialità, ben può, in ragione di tale sua natura e della circostanza che la riparazione mediante dazione di una somma di denaro nel caso assolve una funzione non già reintegratrice di una diminuzione patrimoniale bensì compensativa di un pregiudizio non economico, essere liquidato secondo il criterio equitativo ex artt. 1226 e 2056 c.c, in considerazione dell’intensità del vincolo familiare, della situazione di convivenza e di ogni ulteriore utile circostanza, quali ad es. la consistenza più o meno ampia del nucleo familiare, le abitudini di vita, l’età della vittima e dei singoli superstiti, le esigenze di questi ultimi rimaste definitivamente compromesse. Infine, si è affermato (Sez. 3, Sentenza n. 9231 del 17/04/2013) che, in caso di fatto illecito pluri-offensivo, ciascun danneggiato – in forza di quanto previsto dagli artt. 2, 29, 30 e 31 Cost., nonché degli artt. 8 e 12 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo e dell’art. 1 della c.d. “Carta di Nizza” – è titolare di un autonomo diritto all’integrale risarcimento del pregiudizio subito, comprensivo, pertanto, sia del danno morale (da identificare nella sofferenza interiore soggettiva patita sul piano strettamente emotivo, non solo nell’immediatezza dell’illecito, ma anche in modo duraturo, pur senza protrarsi per tutta la vita) che di quello “dinamico-relazionale” (consistente nel peggioramento delle condizioni e abitudini, interne ed esterne, di vita quotidiana); ne consegue che, in caso di perdita definitiva del rapporto matrimoniale e parentale, ciascuno dei familiari superstiti ha diritto ad una liquidazione comprensiva di tutto il danno non patrimoniale subito, in proporzione alla durata e intensità del vissuto, nonché alla composizione del restante nucleo familiare in grado di prestare assistenza morale e materiale, avuto riguardo all’età della vittima e a quella dei familiari danneggiati, alla personalità individuale di costoro, alla loro capacità di reazione e sopportazione del trauma e ad ogni altra circostanza del caso concreto, da allegare e provare (anche presuntivamente, secondo nozioni di comune esperienza) da parte di chi agisce in giudizio, spettando alla controparte la prova contraria di situazioni che compromettono l’unità, la continuità e l’intensità del rapporto familiare.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, 16 ottobre 2014 n. 21917