Sui costi dei sinistri per la sanità pubblica un ruolo centrale è giocato dai parti: se il numero di sinistri è in diminuzione (8,12 denunce ogni 10 mila bambini nati nel 2012, pari a un 2% in meno rispetto all’anno precedente), il loro impatto economico resta molto oneroso per le tasche dei contribuenti. Nei 9 anni di analisi, infatti, sono stati risarciti complessivamente 60 milioni di euro, circa un quarto del totale della spesa per risarcimenti (per la precisione il 23,9%). Questi i principali risultati della quarta edizione del report MedMal di Marsh sull’andamento della sinistrosità in ostetricia-ginecologia, che ha analizzato i sinistri legati ai parti avvenuti in circa 83 strutture sanitarie tra il 2004 e il 2012.

Il risarcimento medio per un sinistro legato al parto è di circa 330 mila euro: un importo in leggera flessione rispetto all’anno precedente, ma significativamente più elevato rispetto alla media di risarcimento di altre tipologie di errori, quello chirurgico o quello diagnostico ad esempio si aggirano attorno ai 45.000 euro.

Nei nove anni di analisi sono state denunciate 842 richieste di risarcimento su un campione medio annuo di circa 150 mila nascite, più della metà dei casi è relativo a un difetto di vigilanza in fase di travaglio. Al secondo posto si collocano i problemi in fase espulsiva (20,90%) e in percentuali che variano dal 7 al 4% seguono errore anestesiologico, errore nell’apposizione del forcipe, problema durante la rianimazione neonatale, problema nell’esecuzione dell’episiotomia ed errore diagnostico.

I parti cesarei, presi singolarmente, si confermano più sicuri dei parti fisiologici (22% di richieste di risarcimento danni contro il 78% per i parti fisiologici), ma in entrambi i casi a soffrire il momento del parto sono soprattutto i bambini, cui si riferisce l’85% degli eventi dannosi. Il valore assicurativo di ogni nato è pari a circa 188 euro, circa il 10% in meno rispetto alla edizione precedente.

Due sinistri su dieci in media riguardano decessi, della madre o del bambino, mentre nel restante 80% dei casi si tratta di lesioni: 41,33% sofferenza fetale, 15,32% distocia di spalla, 7,72% abrasioni sul bambino, 7,13% abrasioni sulla madre, 6,89% problematiche anestesiologiche e rianimatorie, 4,04% emorragie materne, 2,14% malformazioni genetiche.

I tempi di denuncia si stanno allungando: se il 34% delle richieste danni viene denunciato entro un anno e un ulteriore 10% entro due anni, occorre aspettare almeno 6 anni per raggiungere quasi il 100% delle denunce. Molto spesso infatti le conseguenze di un parto problematico sono riscontrabili solo nella fase di apprendimento del bambino, rendendo quindi i tempi di denuncia molto dilatati.

La maggior parte delle richieste di risarcimento è gestita in prevalenza in via stragiudiziale (68%), seguono i procedimenti civili (21%), e quelli penali (9,8%) con un’importante crescita rispetto all’anno precedente (+2,5%), segno di una maggiore sensibilità da parte dei cittadini che ricorrono più frequentemente alla responsabilità penale per vedere riconosciuti i propri diritti. E’ però vero che nell’’ultimo anno oggetto di analisi l’11% delle pratiche non hanno avuto seguito, in quanto non si è dimostrata un’effettiva responsabilità del medico: si tratta di una percentuale quasi doppia rispetto all’anno precedente.

Un veloce confronto con un piccolo campione di strutture private (58 strutture per, complessivamente 79 richieste danni) fa emergere alcune differenze significative rispetto alla sanità pubblica: se gli esiti degli eventi riferiti a decessi e lesioni sono sovrapponibili, mediamente si può affermare che una minore frequenza di eventi nel privato è dovuta a un maggior ricorso ai parti cesarei, inoltre i sinistri denunciati negli ospedali privati sono risarciti con importi inferiori.