La liquidità che immetterà la Bce favorirà ancora la corsa del dollaro contro euro Mentre le banche, cedendo titoli di Stato sui massimi, potranno segnare brillanti guadagni e migliorare i loro bilanci e le valutazioni in borsa. Per Btp & C, invece, la corsa è agli sgoccioli

di Massimo Brambilla 

Un giro importante di boa è stato superato. Tra molte luci e qualche ombra. Ora occorre vedere l’altro. Se infatti l’attesissimo Quantitative easing annunciato dalla Bce è stato soddisfacente in tutto tranne nella cruciale ripartizione del rischio (che ricade sostanzialmente sulle singole banche centrali nazionali, ovvero Bankitalia per il Belpaese, con scarsa condivisione a livello di Eurozona) e nell’attribuzione delle quote di acquisto di titoli di Stato per i vari Paesi (secondo il criterio di partecipazione al capitale della Bce anziché in proporzione all’ammontare di titoli di stato emessi da ciascun Paese), è necessario attendere l’esito elettorale in Grecia (dove sarà importante capire che tipo di coalizione di sinistra governerà) per tirare le somme sul destino dei mercati nel corso dei prossimi mesi. 
Cioè se il potenziale di apprezzamento offerto dal Qe, non ancora scontato nei prezzi di borsa, possa coinvolgere pienamente gli altri listini di Eurolandia con in testa Piazza Affari.

L’unica cosa certa, infatti, è che l’euro è destinato a indebolirsi ancora, soprattutto contro dollaro proprio in vista del primo ritocco verso l’alto dei tassi Usa, e questo indebolimento rilancerà nel 2015 la competitività delle esportazioni contribuendo in Italia (dove l’export vale il 30% del pil) a un innalzamento aggiuntivo nell’ordine almeno dell’1% del prodotto. 
L’altra certezza riguarda i corsi dei titoli di Stato, che rimarranno ancorati su livelli elevati grazie agli acquisti delle banche centrali, mantenendo ai minimi termini i relativi rendimenti per favorire la domanda di credito da parte del settore privato e obbligando gli investitori finanziari a cercare qualche ritorno più interessante sulle valute a più alto rendimento (e a più alto rischio) come quella neozelandese, turca, sudafricana, brasiliana fino alle scommessa russa o venezuelana. Sui mercati azionari lo sviluppo è ancora abbastanza aleatorio, fino alla formazione del nuovo governo di Atene, a parte una buona probabilità di apprezzamento attribuibile al Dax grazie proprio in virtù della maggiore competitività dei colossi esportatori, di cui è ricco l’indice di Francoforte.

Questa è la sintesi del quadro intermarket che emerge all’alba dell’ultima e più potente cartuccia sparata giovedì 22 dalla Banca centrale europea contro la deflazione e più in generale contro i rischi al ribasso dell’economia che continuano ad attanagliare l’Eurozona, mentre Stati Uniti e Gran Bretagna inseguono il ritorno alla piena occupazione grazie (anche) all’immediato programma di allentamento quantitativo (Qe) già prontamente adottato in risposta alla crisi economico-finanziaria internazionale del 2008-2009. Dopo anni di lotta politica contro il blocco intransigente guidato dalla Banca centrale tedesca, Mario Draghi, presidente della Bce, è finalmente riuscito a comporre il mosaico degli interessi e delle ideologie delle 19 nazioni appartenenti alla moneta unica annunciando un programma di acquisto di titoli di stato dei Paesi membri (coprendo l’ampio ventaglio delle scadenze da due a 30 anni) da oltre 1.110 miliardi di euro, al ritmo di 40-43 miliardi al mese a partire da marzo 2015 fino a fine settembre 2016 Non solo: Draghi ha anche preannunciato il proseguimento a oltranza fino a quando l’inflazione non punterà verso il 2% che rientra nel mandato dell’Eurotower.

La dimensione e la determinazione del comunicato ha istantaneamente provocato un nuovo indebolimento dell’euro nei confronti di tutte le valute, dove il cambio con il dollaro ha segnato un nuovi minimi dell’ultimo decennio scendendo da 1,164 fino a quota 1,115 raggiunta nella seduta conclusiva, e ha subito entusiasmato i listini azionari, Italia in testa grazie alle banche: queste, infatti, saranno libere e liete di vendere a prezzi massimi una fetta significativa (potenzialmente fino a quasi la metà) dell’ampia percentuale di Btp che hanno messo in portafoglio grazie anche alle due operazioni di finanziamento straordinario effettuate tre anni fa dalla Bce, denominate Ltro, in scadenza tra questo e il prossimo mese, realizzando da un lato una vistosa plusvalenza utile per rimpolpare i bilanci del 2015 e dall’altro una rilevante disponibilità monetaria che potrebbe essere utilizzata (è la speranza) nell’erogazione del credito a privati e soprattutto aziende, visti i rendimenti irrisori (in molti casi perfino negativi) offerti in questo momento dagli investimenti finanziari con rating non speculativo, colmando così progressivamente il gap di 100 miliardi di crediti svaniti nel frattempo in Italia.

 

Dunque, sta ora al settore privato avanzare la domanda di credito e parallelamente sta alle banche ridurre lo spread sui tassi richiesto alla clientela per stimolare questa domanda. In ottica Qe, iniziata a scontare da inizio novembre, i prezzi dei Btp, così come quelli di tutti i titoli di Stato a media e lunga scadenza di Eurolandia, hanno allungato la corsa segnando nuovi massimi, abbassando ulteriormente il rendimento del decennale italiano sotto la soglia dell’1,5% e comprimendo quello tedesco allo 0,36%, con il risultato di ridurre lo spread fino a sfiorare 100 centesimi, livello che non si vedeva fino a poco prima dell’esplosione della crisi greca (aprile 2010).

Meno entusiasmante è stata invece la successiva dichiarazione riguardante i soggetti che si faranno materialmente carico dell’acquisto dei bond governativi, vista anche la reazione a caldo dei listini che hanno istantaneamente perso la metà dell’avanzamento conseguito poco prima, una precauzione voluta dalla Bundesbank per evitare la condivisione del rischio sulla porzione dei titoli oggetto di acquisto: la Bce acquisterà sul mercato solo la quota parte (12% dell’importo complessivo del Qe) dedicata alle obbligazioni sovranazionali e l’8% (sempre dell’ammontare complessivo del Qe) dei titoli di Stato che rientrano nei criteri di scelta (scadenza tra due e 30 anni e rating investment grade, o a prescindere dal rating per i Paesi che hanno chiesto e ottenuto aiuti esterni sottoscrivendo in cambio un rigido programma di politica economico/finanziaria, come la Grecia),. Il rimanente 80% dell’importo del Qe verrà suddiviso tra le 19 banche centrali nazionali sempre in base alla percentuale di partecipazione al capitale della Bce affinché siano queste, e non la Bce, a procedere materialmente all’acquisto di titoli di stato del Paese di riferimento, anche se in realtà la Bundesbank, per esempio, potrebbe decidere di acquistare anche titoli italiani nella più remota delle ipotesi. Il fatto che la stragrande maggioranza dei Btp oggetto di Qe entrino nell’attivo patrimoniale di Bankitalia, per fare l’esempio italiano, e non in quello della Bce è un chiaro segnale di sfiducia in seno all’Unione, visto che in caso di crisi finanziaria italiana le perdite su questi titoli sarebbero a carico di Bankitalia: ovvero in prima battuta sulle banche italiane che pro quota la possiedono e in ultima istanza sul bilancio dello stato visto che Bankitalia è un ente pubblico, e come tale non può fallire.

Una simile ripartizione del Qe porta poi con sé una palese incongruenza: avendo la Buba la maggiore quota nella Bce, spetta alla Bundesbank acquistare il maggior quantitativo di titoli di Stato (del proprio Paese), quando invece da un lato è proprio l’emittente che ne ha meno necessità visto che i rendimenti decennali sono già compressi allo 0,36% e dall’altro non viene rispettata la pari incidenza percentuale degli acquisti sul debito pubblico complessivamente emesso da ogni paese, visto che quello tedesco è ben inferiore a quello italiano. In sostanza il Qe inciderà di più, paradossalmente, su mercato dei titoli di stato tedeschi piuttosto che su quello dell’Italia o della Spagna, dove gli spread sono più elevati. Non è un caso che Piazza Affari abbia segnato un sostanziale nulla di fatto nella seduta conclusiva, mentre Francoforte e Parigi abbiano realizzato un secco +2%. (riproduzione riservata)