di Roberta Castellarin

Il governo lavora a un provvedimento volto a consentire ai lavoratori di andare in pensione in anticipo su base volontaria, con il contributo anche di lavoratori, Stato e aziende. Lo ha dichiarato il ministro del lavoro, Enrico Giovannini, che non ha, però, fornito alcun dettaglio su come il relativo onere sarà suddiviso.

E questo non è un tema da poco, visto che la riforma Monti-Fornero ha consentito alle casse pubbliche di risparmiare 80 miliardi di euro soprattutto grazie all’abolizione delle pensioni di anzianità. «Per evitare di ingrossare le fila degli esodati stiamo lavorando sugli aspetti tecnici di un provvedimento per anticipare l’età di pensione con il contributo anche da parte delle aziende», ha dichiarato ieri Giovannini. L’esponente del governo ha sottolineato che l’ipotesi è allo studio «in queste ore» e che il suo dicastero collabora «con il ministero dell’Economia» per mettere a punto «una proposta concreta» sui piani tecnico-giuridico e finanziario. In una nota successiva, Giovannini ha precisato che «lo strumento allo studio è finalizzato a favorire la transizione, su base volontaria, dal lavoro alla pensione, fermi restando i requisiti dell’attuale normativa. Tale strumento andrebbe incontro a persone e imprese (come quelle di minori dimensioni) che attualmente non possono utilizzare gli strumenti previsti in materia dalla legislazione vigente». Nella nota «si ribadisce che l’ipotesi alla quale si sta lavorando non modificherebbe le regole pensionistiche attualmente esistenti, ma offrirebbe uno strumento aggiuntivo cui si accederebbe su base volontaria, con il possibile coinvolgimento delle imprese, come già avviene nei casi previsti dalla legge per le aziende di maggiori dimensioni». Continua quindi il dibattito sulle modalità di introduzione di alcuni correttivi agli effetti della riforma Monti-Fornero, che ha blindato i conti pubblici italiani, soprattutto grazie all’abolizione delle pensioni di anzianità. Queste ultime permettevano, a chi non aveva come minimo 40 anni di contributi, di andare in pensione a 60 anni di età e 36 di contributi (la famosa quota 96 che sarebbe diventata quota 97 dal 2013 con 61 anni di età) allungando l’età di addio al lavoro. Oggi invece per accedere alla pensione anticipata sono necessari 42 anni e mezzo di contributi per gli uomini e un anno in meno per le donne, mentre la vecchiaia scatta a 66 anni e 3 mesi per gli uomini, a 63 anni e 9 mesi per le donne dipendenti e 64 anni e 9 mesi per le lavoratrici autonome. Tutti requisiti, peraltro, destinati a inasprirsi nel tempo perché agganciati all’andamento della speranza di vita certificata dall’Istat.

Come unico correttivo, la riforma Fornero ha dato la possibilità alle donne di andare in pensione prima dei 62 anni, ma con una decurtazione dell’assegno dell’1% per ogni anno di anticipo, quota che diventa il 2% oltre i due anni di anticipo. I risparmi per i conti dello Stato sono arrivati quindi rinviando l’addio al lavoro di numerosi lavoratori. In una fase peraltro in cui le aziende, alla prese con una lunga crisi economica, accetterebbero ben volentieri soluzioni che consentano di mandare in pensione prima i dipendenti con maggiore anzianità. Prima di arrivare alla proposta definitiva, quella di un eventuale prestito previdenziale, Giovannini ha aperto un tavolo di confronto con imprenditori e sindacati per verificare l’accettabilità del progetto. Infatti le stesse aziende potrebbero essere chiamate a partecipare all’anticipo della pensione, insieme all’Inps e ai lavoratori, che dovrebbero accontentarsi di un assegno decurtato.

D’altra parte oggi esiste già una formula che, tramite intese con i sindacati, permette di mandare in pensione in anticipo i lavoratori dipendenti grazie al versamento da parte dell’azienda di gran parte dell’assegno. Meccanismo che ha trovato applicazione presso le grandi aziende, ma non è utilizzabile da parte delle realtà più piccole. Che pure lamentano la stessa esigenza di maggiore flessibilità. Certo, per l’Italia resta il fatto che il problema della cassa è ancora cruciale, tanto che si sta lavorando a una limatura delle detrazioni fiscali al fine di reperire 500 milioni di euro. Difficile quindi pensare che nella ripartizione dell’onere lo Stato possa dare un contributo generoso. Non stupisce quindi che il ministro Giovannini parli di «strumento flessibile» in ragione delle condizioni soggettive del lavoratore. «L’idea», conclude, «è di avere un contributo di tre soggetti (Stato, imprese e lavoratori). Stiamo lavorando sul modo di avere a disposizione uno strumento flessibile, che presenteremo poi alle parti sociali». (riproduzione riservata)