di Stefania Peveraro

Brucia ancora parecchio la stretta fiscale su banche, assicurazioni e intermediari finanziari introdotta a fine novembre dal decreto che cancellava la seconda rata dell’Imu. E, come riferito da MF-Milano Finanza lo scorso 3 dicembre, a essere arrabbiati sono soprattutto gli intermediari, con in prima fila le società di gestione, che non hanno potuto godere della contropartita offerta dalla Legge di Stabilità, che consiste nel fatto di poter dedurre dall’imponibile Ires la quota di crediti ormai svalutati su un arco temporale molto più breve (5 anni) del precedente (18 anni).

I malumori degli associati hanno così spinto il presidente di Assogestioni, Giordano Lombardo, a portare poco prima di Natale sul tavolo del ministro del Tesoro, Fabrizio Saccomanni, una dura lettera che fa presente quanto queste misure, insieme a quelle di modifica dell’imposta sulle transazioni finanziarie contenute nella Legge di Stabilità, «colpiscono pesantemente le imprese del settore finanziario, con effetti, peraltro, particolarmente penalizzanti per l’industria italiana del risparmio gestito».

Come noto, non solo banche e assicurazioni, ma le sim, le fiduciarie e tutti gli operatori del risparmio gestito, i gestori di fondi immobiliari, di private equity e di venture, hanno dovuto pagare l’acconto Ires del 130% sui redditi 2013, che ingloba l’aumento dell’8,5% dell’Ires e che porta l’aliquota dal 27,5% al 36%.

Per il 2014, l’acconto sarà invece del 101,5%. Non solo. Le nuove norme hanno obbligato le imprese del risparmio gestito ad anticipare anche il 100% delle imposte sul capital gain versate per conto dei clienti in regime di risparmio amministrato. «L’intervento in materia di addizionale dell’aliquota Ires per l’anno 2013 nonché l’introduzione a regime di un acconto dell’imposta sostitutiva dovuta in relazione ai rapporti per i quali trova applicazione il regime del risparmio amministrato discriminano le imprese del settore finanziario, incluse le società di gestione del risparmio, sollevando legittimi dubbi circa la loro compatibilità con i principi costituzionali», scrive Lombardo. Che continua: «L’addizionale Ires determina una maggiorazione dell’imposizione sui redditi d’impresa esclusivamente in ragione del settore di operatività dei soggetti che ne sono colpiti, mentre l’introduzione a regime dell’obbligo di versamento di acconti dell’imposta sostitutiva applicata sui capital gain pone un incomprensibile onere a carico di soggetti, gli intermediari finanziari, diversi dai contribuenti titolari del reddito, comportando un anticipo di somme che potrebbero, peraltro, non essere recuperate dai clienti».

Ancora più chiaro Guido Giubergia, presidente e amministratore delegato del Gruppo Ersel, che commenta a MF-Milano Finanza: «Non ci vuole un genio del diritto per capire che norme simili sono incostituzionali perché discriminano le imprese contribuenti. E poi non ha senso che noi sgr dobbiamo anticipare tasse che non sappiamo se mai i nostri clienti dovranno pagare. Chi ci assicura che i clienti conseguiranno gli identici capital gain dell’anno prima? Se non lo faranno, noi matureremo un credito d’imposta che si aggiungerà al già ingente credito che come categoria abbiamo conseguito quando si è passati dal regime di imposizione sul maturato a quello sul realizzato. Forse tutti questi crediti saranno riscossi solo dai nostri nipoti». (riproduzione riservata)