Pagina a cura di Vincenzo Dragani  

Non risponde di abbandono illecito di rifiuti l’imprenditore che omettendo di recintare il proprio cantiere non impedisce lo sversamento di residui effettuato nottetempo da terzi nell’adiacente fiume. E ciò perché manca nell’Ordinamento giuridico un particolare obbligo che imponga al gestore dell’area di attivarsi per evitare il verificarsi dello specifico evento contra legem.

Con la sentenza 9 dicembre 2013 n. 49327 la Corte di cassazione aggiunge un altro tassello al già ricco mosaico giurisprudenziale sulla responsabilità del titolare di diritti (reali o personali) su di un terreno per gli illeciti ambientali a esso legati.

Il caso. La questione affrontata dal giudice di legittimità verte sulla condanna inflitta nel processo di merito al titolare di un’impresa ai sensi dell’articolo 40, Codice penale e 256 comma 2, dlgs 152/2006 (cd. «Codice ambientale») per non aver, in qualità di responsabile del terreno aziendale adiacente a un torrente, predisposto un’adeguata recinzione a fronte di ripetuti sversamenti abusivi di rifiuti effettuati nelle acque da terzi ignoti.

La decisione. Quella effettuata dalla Cassazione (che ha cassato con rinvio la decisione di merito) è una ricognizione sull’applicabilità al reato ambientale (punito a titolo contravvenzionale per i responsabili di imprese, dunque anche per mera colpa) del secondo comma dell’articolo 40 del Codice penale, a mente del quale: «Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo». Come sottolineato dalla Corte, affinché l’evento illecito possa essere imputato a un soggetto a titolo di reato omissivo improprio (ossia di reato «commissivo mediante omissione») occorre che l’obbligo di impedirlo (la cd. «posizione di garanzia») sia stato precedentemente imposto da una specifica disposizione legislativa. Disposizione che, nella fattispecie in esame, la Cassazione non rinviene (come invece asserito dalla Corte di merito) nelle astratte previsioni costituzionali di cui agli articoli 41, comma 2 (per il quale l’iniziativa economica non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza) e 42, comma 2 (laddove è demandato alla legge determinarne i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale). Per la Corte tali principi costituzionali trovano, infatti, il necessario bilanciamento (e quindi un limite) nelle parallele statuizioni previste dagli articoli 23 e 25 della stessa Costituzione (recanti i principi di legalità e tassatività delle fattispecie incriminatrici, per cui nessuno può essere condannato se al momento in cui ha commesso il fatto non vi era già una legge che considerava come reato quel determinato e specifico comportamento). Per la Cassazione la responsabilità omissiva prevista dall’articolo 40 del Codice penale non può fondarsi su un dovere, seppur di rango costituzionale, indeterminato o generico ma deve essere necessariamente basata su un obbligo giuridico specifico e posto a tutela del particolare bene penalmente protetto (nel caso in esame, l’ecosistema).

La giurisprudenza in materia. E per dare la dimensione della specificità richiesta all’obbligo in parola per avere rilevanza, la Corte richiama nella sua pronuncia una precedente sentenza (la 2206/2006) con la quale lo stesso giudice di legittimità aveva assolto dal reato di abbandono di rifiuti il titolare di una cava che, omettendo di recintarla in violazione di un preciso obbligo disposto dal provvedimento di concessione, non avrebbe impedito l’abbandono nella stessa di rifiuti da parte di terzi. Come correttamente argomentato dal giudice del 2006, ricorda oggi la Corte nella sentenza in esame, l’obbligo specifico in capo al gestore di recintare la cava, pur sussistendo, era posto a tutela di un bene diverso da quello ambientale, quale l’incolumità pubblica. Ragion per cui, sottolinea la Cassazione del 2013, anche in quel caso mancava la specifica disposizione normativa che, in ossequio ai ricordati principi di legalità e tassatività, avrebbe consentito di imputare al proprietario del terreno l’illecito ambientale a titolo di «commissione mediante omissione».

Allargando ulteriormente l’orizzonte giurisprudenziale in materia, si ricorda come in base solco tracciato dalla Corte di cassazione specifiche disposizioni normative che fanno invece sorgere in capo al responsabile dell’area una precisa posizione di garanzia (e quindi l’obbligo di azionarsi evitare o riparare a eventuali illeciti ambientali) sono sicuramente rintracciabili nel dovere di vigilanza che l’imprenditore ha sull’operato dei suoi collaboratori così come in quello di eseguire l’eventuale ordinanza sindacale di rimozione di rifiuti già insistenti su un terreno. Il tutto fermo restando, come ricordato dallo stesso giudice di legittimità con sentenza 41838/2008, i casi di «concorso nel reato», nei quali la condotta omissiva del titolare del terreno ha invece sempre autonoma rilevanza.

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