È stato presentato nei giorni scorsi all’Università Bocconi di Milano il Rapporto Oasi 2013 realizzato da Cergas (Centro di ricerche sulla gestione dell’assistenza sanitaria e sociale) e SDA Bocconi in collaborazione con Bayer SpA che fa luce sul sistema sanitario italiano. Dallo studio emerge un fattore di grande criticità che metterebbe a rischio l’universalità della sanità italiana. Quale? Il rischio legato al contenimento della spesa per ogni singolo fattore produttivo (personale, medical device, privato accreditato, ecc.) e alla contrazione degli investimenti in tecnologie, oltre al mancato rinnovo infrastrutturale, è che la sanità pubblica sistema i propri conti in un’ottica di breve periodo, ma a tutto discapito della performance sanitaria presente e futura, tanto che i tagli lineari hanno avuto conseguenze in particolare su posti letto, assunzioni e stipendi del personale, spesa per i farmaci e servizi offerti. Il risultato di questa strategia è che in alcune regioni, soprattutto del Sud, iniziano a manifestarsi situazioni di undertreatment, ovvero l’impossibilità di far fronte alle necessità sanitarie della popolazione.

In realtà le critiche alla gestione solo economica della sanità sono iniziate almeno dai due precedenti Rapporti del 2011 e del 2012, dove a proposito dell’aziendalizzazione della sanità in Italia, già si parlava di “sanità povera” nelle regioni in Piano di rientro a differenza di quella nelle regioni più ricche.

Il Rapporto evidenzia come la riduzione di spesa sia stata applicata a un sistema sanitario tradizionalmente “sobrio”, con una spesa pubblica pro capite, a parità di potere di acquisto, pari a 2.419 dollari, significativamente più bassa di quella di Francia (3.133), Germania (3.318) e Regno Unito (2.747) e un disavanzo in forte diminuzione a 1,04 miliardi di euro nel 2012 (-17,3% rispetto all’anno precedente), il che equivale allo 0,9% della spesa sanitaria pubblica corrente (nel 2004 era il 6,2%).

I risultati sono stati notevoli nelle regioni con i conti in rosso e soggette a Piani di rientro: il disavanzo della Campania, nel 2012, è un decimo di quello del 2005, quello del Lazio un quinto e quello della Sicilia è sostanzialmente azzerato. Rimane però rilevante il gap di performance tra i diversi sistemi sanitari regionali. C’è una evidente disparità tra le regioni in Piano di rientro e le altre. Infatti, quelle sottoposte a Piani di rientro (Abruzzo, Campania, Calabria, Lazio, Molise, Puglia e Sicilia) risultano inadempienti o parzialmente inadempienti  nel mantenimento dei livelli essenziali di assistenza. Questo è un pericoloso campanello di allarme sul potenziale livello di iniquità nell’accesso alle cure tra nord e sud, sottolinea il report Cergas. La spesa maggiormente penalizzata, perché meno rigida, risulta essere quella per investimenti, che si attesta a 59 euro pro capite nella media nazionale, ma con una forte variabilità, dai 111 euro dell’Emilia Romagna ai 20 euro della Calabria. Le regioni del Sud sono sistematicamente al di sotto della media nazionale, pur avendo un quadro infrastrutturale più fragile già in partenza.

Alla riduzione della spesa pubblica per la sanità, in

Infine, a questo andamento generale non è corrisposto un aumento della spesa privata: nel 2012 gli italiani hanno speso per la propria salute il 2,8% in meno rispetto all’anno precedente. Se la media italiana è di 463 euro pro capite, ma le differenze lungo la Penisola sono notevoli: si va dai 707 euro del Trentino Alto Adige ai 239 euro ?della Campania e le ultime posizioni sono tutte occupate dalle regioni meridionali. In altri termini, non vi è una correlazione tra spesa sanitaria privata e quali/quantità di quella pubblica. Ancora una volta le regioni più in difficoltà sono quelle meridionali, che già subiscono un gap di efficienza nel servizio pubblico.