di Paola Valentini

Dopo il record di raccolta fondi degli ultimi 12 mesi, anche il 2014 si apre sotto una buona stella per l’industria italiana del risparmio gestito grazie all’effetto performance. Nel 2013, infatti, quasi il 40% dei fondi di diritto italiano ha battuto il proprio benchmark di riferimento. Un risultato in linea con il 2012 (era il 43%) che proprio all’inizio dello scorso anno aveva svolto un ruolo determinante per la ripresa bruciante della raccolta.

Percentuali che sono superiori a quelle degli ultimi anni: dal 2000, ovvero da quando è stato introdotto in Italia questo parametro, la quota dei vincitori sul benchmark oscilla attorno al 10-20%; ha fatto eccezione il 2009 quando la percentuale di gestori sopra l’indice è stata simile (42%) per il fatto che azioni e bond erano cresciuti in modo indiscriminato avvantaggiando i fondi italiani tradizionalmente agganciati all’indice. L’anno che si è appena aperto potrebbe quindi confermare la riscossa della raccolta dei fondi made in Italy.

I prodotti di diritto italiano hanno registrato da gennaio a novembre 2013 flussi netti per oltre 10,4 miliardi, rispetto al rosso di 13,8 miliardi dello stesso periodo del 2012. D’altra parte, come emerge da un’analisi di Citywire, sono proprio i rendimenti dell’ultimo anno e non tanto la storia di risultati sul lungo periodo, a guidare le scelte degli investitori nel risparmio gestito. A dare una mano ai risultati 2013 c’è anche la nuova tassazione dei fondi italiani (introdotta il primo luglio 2011) che si basa sul criterio per cassa in base alla quale giorno dopo giorno viene prelevato dal rendimento il 12,5% (oggi 20%).

In caso di mercati al rialzo il criterio per cassa permette ai fondi di aumentare i guadagni perché aumenta la base investibile. Un’opportunità in più che i gestori italiani possono sfruttare.

Ma ecco in dettaglio il confronto effettuato da MF-Milano Finanza tra i fondi comuni di diritto italiano e i loro benchmark di mercato. Sui comparti che hanno dichiarato a fine 2013 la performance dell’indice di riferimento, il 39,1%, come detto, è riuscito a fare meglio del parametro. Una media dietro la quale si nascondono differenze tra categorie.

 

Nel 2013 i gestori italiani si sono dimostrati particolarmente abili negli investimenti obbligazionari, a conferma di una storica predilezione per i bond. Tra i fondi obbligazionari il 53% ha battuto l’indice con il picco del 100% dei fondi obbligazionari che investono in bond societari ad alto merito di credito. Peccato che, però, il rendimento medio dei comparti di questa categoria si sia fermato al 3,6%. Ma c’è anche chi ha superato l’8%. È il caso di Anima Fix Imprese che ha reso oltre l’8% rispetto al 2,4% del proprio benchmark. In sostanza però il 2013 non si è rivelato un anno brillante per le obbligazioni per i timori di un aumento dei tassi. Anche la nuova categoria degli obbligazionari Italia, che raccoglie fondi che investono in Btp, non ha dato grandi soddisfazioni perché lo spread si è ormai ristretto: un terzo dei fondi ha battuto il benchmark e la performance maggiore è stata quella del fondo Anima Tricolore (+5,5%). Per non parlare della liquidità: i tassi ai minimi hanno compresso i rendimenti di questi prodotti che in media hanno reso poco più dello 0,6%, una percentuale che a fatica permette di recuperare le commissioni. Può consolare il fatto che tra i fondi di liquidità oltre la metà dei money manager abbia battuto il parametro di mercato.

Al contrario, l’anno appena trascorso è stato vincente per le azioni. I gestori hanno brillato in particolare nei mercati più conosciuti. A partire da Piazza Affari dove il 60% ha battuto il benchmark. In media, i fondi azionari Italia hanno reso il 22% superando il +18,8% dell’indice Ftse Italia Mib storico, ma c’è chi ha reso oltre il 40% puntando sulle pmi quotate. Il migliore è risultato Eurizon azioni Pmi Italia (+48%) che però è rimasto di un soffio sotto il suo benchmark (48,4%), segue Fondersel Pmi (+44%) che batte l’indice di 11 punti (+33%).

Le società di gestione italiane dal 2000 hanno l’obbligo di calcolare e rendere pubblica ogni settimana la performance a 12 mesi del benchmark scelto per ogni fondo. Da sottolineare infine che ci sono società, come Azimut, specializzate nei flessibili, che in quanto tali non hanno benchmark. (riproduzione riservata)