Integra il reato di falso in atto pubblico l’annotazione ora per allora apposta sulla cartella clinica del paziente, a nulla rilevando il contenuto veritiero della modifica.

Posto che la cartella è un diario che rappresenta tutti i fatti clinici correlati, in successione temporale, alla malattia del paziente, la falsità punibile non è relegata all’informazione inveritiera, ma si estende anche a quella annotata in un momento successivo senza una valida ragione.

Anche laddove il soggetto agisca per ristabilire la verità effettuale, alterando il testo della cartella clinica, sussiste ugualmente il reato di falso materiale, perché la cartella acquista carattere definitivo in relazione ad ogni singola annotazione ed esce dalla sfera di disponibilità del suo autore nel momento stesso in cui la singola annotazione viene registrata.

Ciò perché, l’atto adempie alla funzione di “diario” della malattia e di altri fatti clinici rilevanti, la cui annotazione deve quindi avvenire contestualmente al loro verificarsi.

La fede pubblica, costituente il bene giuridica protetto, viene a essere lesa anche quando, indipendentemente dal contenuto dell’atto pubblico, non vi sia corrispondenza tra l’effettivo iter di formazione del medesimo atto e quello che appare dal suo aspetto grafico, dandosi luogo anche in tale ipotesi alla falsa rappresentazione di una realtà giuridicamente rilevante; il che costituisce, a ben vedere, la vera ragione giustificativa dell’orientamento interpretativo secondo cui sussiste il reato di falso ogni qual volta si intervenga con modifiche su di un atto già definitivamente formato, pur quando l’intento dell’agente sia quello di renderne il contenuto conforme al vero.

Cassazione penale  sez. V,  29 maggio 2013 n. 37314