Pagina a cura di Tancredi Cerne  

Italia paladina della lotta all’evasione internazionale. L’ultimo capitolo della lunga storia è stato scritto la scorsa settimana a Roma dal ministro Fabrizio Saccomanni insieme all’ambasciatore Usa in Italia, John R. Phillips, con la firma dell’accordo intergovernativo per l’attuazione del Fatca (Foreign Account Tax Compliance Act). Un passo decisivo nel contrasto all’evasione. L’intesa, già avallata anche da Francia, Germania, Regno Unito e Spagna, consentirà infatti alle autorità fiscali della Penisola di condividere in automatico con Washington una serie di informazioni di natura finanziaria. E nel caso in cui gli intermediari Usa come banche trust, fondi e assicurazioni dovessero decidere di non comunicare i nomi e le movimentazioni dei propri clienti a stelle e strisce, la legge prevede l’applicazione di una ritenuta del 30% sui pagamenti provenienti dall’America sotto forma di cedole, dividendi, interessi, stipendi o rendite in capo agli intestatari di un conto presso i loro istituti.

Quella con gli Stati Uniti non rappresenta, tuttavia, l’unica novità di questo inizio di anno sotto il profilo del contrasto all’evasione. Il primo gennaio scorso, infatti, è entrata in vigore la convenzione fiscale tra Italia e San Marino approvata dal senato di Roma nel mese di luglio, mettendo fine a un braccio di ferro durato più di quattro anni. Oltre al divieto di opporre il segreto bancario in caso di richiesta di informazioni, l’accordo con la Rupe promuove, infatti, lo scambio di informazioni secondo le nuove direttive Ocse e la risoluzione dei casi di doppia residenza fiscale. Tutto ancora da costruire, invece, il cammino verso la definizione di una simile intesa con la Svizzera nonostante il tiramolla di indiscrezioni che si rincorrono sull’argomento. In attesa di trovare la quadratura del cerchio con Berna, tuttavia, gli esperti delle Finanze si sono messi in movimento per cercare di arrivare alla definizione di accordi internazionali in grado di limitare quanto più possibile l’evasione crossborder di capitali italiani. L’ultimo risale al mese di dicembre con la firma a Londra dell’accordo per lo scambio di informazioni fiscali tra l’Italia e l’Isola di Man. L’intesa, basata sul modello Tiea (Tax information exchange agreement) dell’Ocse, prevede che le autorità competenti dei due stati possano avviare la condivisione di dati prevedibilmente rilevanti per assicurare la corretta applicazione delle disposizioni, convenzionali e nazionali, relative a ogni imposta applicata in ciascuno degli ordinamenti coinvolti.

Ma l’Italia non è nuova ad accordi di questo genere. Trattati analoghi sono stati firmati nei mesi scorsi da Roma con le autorità di Jersey, Guernsey, Bermuda, Cayman e Gibilterra. Nel corso degli anni il governo italiano ha poi siglato intese amministrative per lo scambio di dati anche con Australia, Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Spagna, Svezia e Stati Uniti, tanto per citare i più importanti. Oltre agli accordi per realizzare verifiche fiscali simultanee. In questo caso, tra i nomi in lista, spiccano quelli di Australia, Austria, Belgio, Francia, Svezia e Usa. Il ruolo chiave dell’Italia nella partita per il contrasto all’evasione fiscale è stato confermato, infine, dal Global Forum dell’Ocse riunito a fine novembre in Indonesia. In quell’occasione, i delegati dei 121 paesi riuniti per suggellare la necessità di una maggiore trasparenza fiscale a livello sovranazionale hanno affidato a Roma il mandato di presiedere il nuovo Automatic exchange of information (Aeoi) Group, gruppo destinato a implementare un nuovo standard per lo scambio automatico di informazioni fiscali secondo le linee guida tracciate dal G20 di San Pietroburgo.