di Antonio Ciccia  

 

Risarcibile il danno esistenziale quando provoca un qualsiasi «sconvolgimento» della vita, dalle abitudini familiari a quelle sessuali fino a quelle lavorative. Mentre va riconosciuto anche, e come danno autonomo, quello derivante dalla perdita della vita. La Corte di cassazione, con la sentenza n. 1361 del 23 gennaio 2014, che si applica retroattivamente ai giudizi in corso, ha riconosciuto ai figli di una donna morta in un incidente stradale il risarcimento del danno esistenziale e da perdita della vita, affermando anche che, per quest’ultima categoria, non si applicano le tabelle del danno biologico del tribunale di Milano, che abitualmente vengono assunte come parametro dalle assicurazioni per quantificare l’indennizzo. Il giudice, quindi, in fattispecie simili dovrà decidere caso per caso.

E dunque, purché provato, qualunque stravolgimento dell’esistenza dà diritto al risarcimento. Nelle lunghissime motivazioni la terza sezione civile ha riconosciuto l’esistenza del danno alla perdita della vita come categoria autonoma del danno non patrimoniale e non annoverabile nel danno tanatologico o morale terminale, precisando inoltre, come detto, che la liquidazione deve avvenire in via equitativa.

Il Supremo collegio ha sancito a carico della compagnia di assicurazione il diritto al risarcimento in favore dei figli di un uomo depresso, suicidatosi dopo la morte della moglie avvenuta in un incidente stradale. La Cassazione mette nero su bianco che «il danno da perdita del rapporto parentale o cosiddetto danno esistenziale (che consiste nello sconvolgimento dell’esistenza sostanziatosi nello sconvolgimento delle abitudini di vita, con alterazione del modo di rapportarsi con gli altri nell’ambito della comune vita di relazione, sia all’interno che all’esterno del nucleo familiare, in fondamentali e radicali scelte di vita diversa) risulta integrato in caso come nella specie di sconvolgimento della vita subito dal coniuge (nel caso, il marito) a causa della morte dell’altro coniuge (nel caso, la moglie).

Sì al danno

alla perdita della vita

Gli Ermellini danno poi il via libera al risarcimento del danno non patrimoniale alla perdita della vita, trasmissibile, in quanto categoria autonoma, agli eredi. Il ristoro è ammesso anche se l’agonia della vittima è durata poche ore e la liquidazione di tale voce è equitativa e non è contemplata dalle tabelle di Milano.

Per i giudici «costituisce danno non patrimoniale altresì il danno da perdita della vita, quale bene supremo dell’individuo, oggetto di un diritto assoluto e inviolabile garantito in via primaria da parte dell’ordinamento, anche sul piano della tutela civilistica».

Inoltre, non essendo il danno da perdita della vita della vittima contemplato dalle tabelle del tribunale di Milano, è rimessa alla prudente discrezionalità del giudice di merito l’individuazione dei criteri di relativa valutazione che consentano di pervenire alla liquidazione di un ristoro equo, nel significato delineato dalla giurisprudenza di legittimità, non apparendo pertanto idonea una soluzione di carattere meramente soggettivo, né la determinazione di un ammontare uguale per tutti, a prescindere cioè dalla relativa personalizzazione, in considerazione in particolare dell’età, delle condizioni di salute e delle speranze di vita futura, dell’attività svolta, delle condizioni personali e familiari della vittima.

Piazza Cavour precisa inoltre che il cambiamento di rotta sul danno esistenziale ma, ancor di più sul danno da perdita di vita, non ha come conseguenza la cosiddetta prospective overruling: il cambiamento di orientamento è dunque applicabile anche retroattivamente. Anche la procura generale della Suprema corte aveva chiesto in udienza al Collegio di legittimità di accogliere il ricorso presentato dai figli della coppia.

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