di Dario Ferrara  

 

La Sanità sceglie l’autarchia in tempi di spending review e stoppa il «turismo sanitario». L’Asl non finanzia il viaggio della speranza nell’ospedale estero di fiducia del paziente se ha dalla sua parte un parere in cui un istituto nazionale attesta che almeno il suo centro, insieme a qualche altra struttura, è in grado di offrire la stessa terapia anticancro richiesta, per quanto ad alta specializzazione. Lo stabilisce il Consiglio di stato con la sentenza 19/2014, pubblicata il 7 gennaio dalla terza sezione.

Accolto il ricorso dell’Asl di Monza e Brianza contro la sentenza del Tar Lombardia. Il paziente ha una grave forma di tumore al midollo spinale e vorrebbe curarsi all’ospedale di Bruxelles. Ma forse sceglie il Belgio perché il suo lavoro lo porta anche all’estero. Fatto sta che, stavolta, non c’è ragione di varcare le Alpi «a meno di sostenere l’incapacità di tutte le strutture italiane», annotano i giudici di palazzo Spada. L’autorizzazione richiesta all’Azienda sanitaria locale risulta importante perché prevede la partecipazione alle spese necessarie al trattamento. E il procedimento ha tratti autoritativi e discrezionali: l’Asl deve valutare la natura dell’istanza, il tipo di patologia, la gravità e l’urgenza oltre che individuare il centro idoneo. Nella specie l’Azienda sanitaria brianzola acquisisce il parere dell’istituto «Carlo Besta» secondo cui lo stesso centro milanese è in grado di garantire le cure speciali richieste dall’ammalato di cancro. E altrettanto vale per altre tre strutture, concentrate nel Nord Italia. I pareri ottenuti dall’Asl diventano due, dopo che il primo viene ritenuto generico.

Non si capisce, dicono in sostanza i giudici, che cosa si potesse aggiungere in materia: l’intervento di cui ha bisogno il paziente è molto particolare e non risulta possibile indicare una percentuale di successo; mentre non bisogna dimenticare che i viaggi della speranza pesano sulle casse dell’erario e rischiano di creare disparità fra i cittadini utenti: diversamente si incentiverebbe il ricorso a una prassi, quella del turismo sanitario, che non può essere consentita sul piano generale. Irrilevante, nella specie, la legge sulla trasparenza. L’ammalato evita almeno la condanna alle spese di lite.