di Angelo De Mattia

Le cronache hanno dato con una certa enfasi la notizia di un accordo tra Parlamento e Consiglio Ue su di una serie di norme che disciplinano, in particolare, i derivati e le contrattazioni di strumenti finanziari ad alta velocità. Riferiscono che si tratta di regole che entreranno in vigore fra due anni e mezzo e che nel frattempo dovranno essere formalizzate dal Parlamento in seduta plenaria, oltreché approvate dai governi. In sostanza, si è colta l’occasione della revisione della Mifid per introdurre norme che accrescono gli obblighi di trasparenza, di informativa alla clientela e di condotta da parte degli intermediari su obbligazioni e derivati fino all’ipotesi del divieto della commercializzazione di alcuni strumenti finanziari; danno la facoltà alle autorità nazionali competenti di stabilire limiti alle posizioni in derivati su materie prime; fissano regole sulle sedi di negoziazione e sulle controparti centrali; accrescono i controlli sullo high frequency trading; prevedono un regime armonizzato per l’accesso ai mercati europei da parte di società di Paesi terzi. In definitiva, trasparenza, regole di condotta, limiti apponibili, contrasto preventivo della «tossicità» di alcuni tipi di titoli. Per ora siamo ai punti generali dell’intesa e dunque bisogna riservarsi ogni giudizio definitivo – in attesa di conoscere un testo che sarà sottoposto all’aula di Strasburgo – anche sulla fondatezza delle espressioni di giubilo del commissario Michel Barnier, che ha parlato di un accordo che rappresenta un passo decisivo per un sistema finanziario più trasparente e responsabile e ha rilevato che il miglioramento della regolamentazione farà funzionare meglio il mercato dei capitali a vantaggio dell’economia reale. È sperabile che così accada, ma non si può trascurare che gli strumenti finanziari e soprattutto i derivati vengono fatti oggetto di interventi normativi frazionati da più versanti (per i derivati, per esempio, l’obbligo, in precedenza introdotto, della loro negoziazione su piattaforme centrali), perdendo di mira, alla fine, l’insieme dello strumento da regolamentare e il suo rapporto con chi lo emette, nonché la disciplina di quest’ultimo quando opera con questi strumenti. Intanto nella rivisitazione della Mifid la parte centrale dovrebbe consistere nel rafforzamento della trasparenza e dell’informativa del cliente – eliminando notizie inutili o che per la loro pletoricità inducono a concentrarsi su un abbondante materiale cartaceo, paradossalmente riducendo l’efficacia dell’informativa data e richiesta – ma anche nel miglioramento della posizione contrattuale del cliente nei confronti dell’intermediario. Ma il pacchetto della rivisitazione normativa dovrebbe essere organico e integrato, per cui dovrebbero farne parte gli interventi sulla banca-ombra e quelli sulle istituzioni finanziarie suscettibili di determinare rischi sistemici, nonché una seria introduzione della Volcker rule, per la distinzione tra attività delle banche commerciali e quella delle banche di investimento. L’intervento istituzionale e strutturale va coordinato con quello prudenziale, se si vogliono ottenere risultati. Quando si sostengono tesi del genere ci si espone al rischio dell’accusa di «benaltrismo». Ma nel campo della regolamentazione bancaria e finanziaria le interconnessioni e le complementarità sono strette, per cui si può definire la migliore disciplina di un determinato fenomeno, ma questa può poi essere vanificata dallo spostamento del fenomeno stesso in altri comparti meno o diversamente regolati. Si pensi, per esempio, ai derivati, che potrebbero essere disciplinati non solo, come è necessario, sul piano della trasparenza e dello svolgimento delle negoziazioni, con la previsione anche di limiti, ma pure incidendo sulla possibilità per gli intermediari di operare in questo campo o di farlo solo nella ricorrenza di determinati parametri patrimoniali, di liquidità eccetera. Se si parla di trading, allora bisognerebbe non dimenticare la testa prima di affrontare le braccia, cioè le modalità operative, e la testa è appunto la Volcker rule in una versione diversa, più rigorosa e completa di quella che si prospetterebbe a livello comunitario. Il fatto è che finora, nonostante l’abbondante lavoro di analisi e di proposta svolto dal Financial Stability Board, a questa esigenza di organicità non è stata data una risposta adeguata in sede europea. L’esperienza italiana dimostra che i risultati migliori si conseguono, nella regolamentazione, procedendo per Testi unici. Sarebbe ora che i temi di maggiore attualità e di più impellente urgenza, bancari e finanziari, fossero affrontati coordinatamente, secondo un disegno organico, traendo i doverosi insegnamenti dalla crisi globale. Intanto, come si è detto, speriamo che l’assai parziale disciplina degli strumenti finanziari ora avviata risulti, alla fine, almeno adeguata ai più immediati bisogni e interessi della clientela degli intermediari finanziari. (riproduzione riservata)