E ntra nel vivo il turnarounddi Generali. Con la presentazione di oggi alla comunità finanziaria dal palco della City londinese il ceo Mario Greco cercherà di far capire ad analisti e investitori che a Trieste è in corso una svolta importante. Il Leone deve tornare a fare profitti in misura significativa, creando valore per gli azionisti (il mantra dell’economia capitalista e liberista) molto più di quanto non abbia fatto nel recente passato (almeno a voler guardare le statistiche che confrontano lo shareholder value delle principali compagnie europee e mondiali). Con questo obbiettivo ben fisso in testa Greco continua a ripetere che i suoi metri di giudizio sono un insieme di regole molto semplici che si applicano nelle principali società internazionali. V uole portare in Generali molta disciplina e molta focalizzazione, più tecnicamente vuole gestire il business in modo da creare cassa e ripristinare il capitale, dato che la compagnia è considerata a ragione una di quelle più “corte” di capitale. Ma vuole farlo senza richiedere nuovi sforzi agli azionisti, se non quando sarà necessario. L’impegno della pulizia di bilancio, della focalizzazione, della riorganizzazione è dunque volto a ridare fiato a un bilancio un po’ appesantito e che ha generato bassi ritorni sul capitale negli ultimi dieci anni. Le richieste al mercato, invece, dato che non possono essere frequenti, andranno dosate con attenzione e costituiranno una carta che Greco si giocherà solo

quando deciderà di puntare decisamente sullo sviluppo, e dunque quando si tratterà di fare acquisizioni. Per il momento non ce n’è bisogno e il recente annuncio dell’accordo con l’imprenditore ceco Petr Kellner lo dimostra. La joint venture volta a sfondare nei mercati dell’est era stata pensata e realizzata nel 2007 tra l’allora ceo Giovanni Perissinotto e la Ppf, il braccio operativo di Kellner su quei paesi. Generali aveva lì conferito alcune attività e aveva pagato cash la differenza all’imprenditore ceco. L’obbiettivo era quello di arrivare al controllo totalitario nell’arco di tre anni. Ma poi nel corso del 2008 e 2009 altri investimenti effettuati nel private equity e finiti sotto il cappello della Bsi (Banca della Svizzera Italiana) hanno impedito il completamento dell’operazione nei tempi previsti e lo slittamento ha provocato una complicazione dei contratti. L’operazione nel 2011 è finita al centro di una dura polemica tra alcuni azionisti e il presidente di allora, Cesare Geronzi, che alla fine è costata il posto proprio a quest’ultimo. Dunque l’imperativo di Greco era quello di fare chiarezza sia sulla bontà dell’investimento sia sui futuri esborsi di capitale e sembra che ci sia riuscito in poco tempo e in maniera accettabile. Non è il miglior affare del mondo, sembra abbia detto Greco ai suoi consiglieri al momento della decisione, il contratto aveva ampi margini di opzionabilità, noi l’abbiamo chiuso al minor costo possibile. Il 49% di Gph (Generali Ppf Holding) è stato infatti valutato 11 volte gli utili, l’israeliana Migdal è stata recentemente venduta a 14 volte gli utili, la polacca Warta è recentemente passata di mano a 13-14 volte ma sul mercato si possono trovare occasioni a 8-9 volte. Insomma, non chiudere quel contratto voleva dire uscire da 13 paesi sui mercati dell’est dove Generali era presente da anni con tassi di crescita del Pil e della popolazione tra i più attraenti. Dunque si è scelto di proseguire nella direzione già tracciata dal precedente management con una transazione tranquilla, in due fasi, che permette a Greco di prendere in mano la gestione della joint venture senza produrre strappi. Nello stesso tempo, grazie a una transazione parallela, il nuovo ceo e i suoi uomini sono riusciti a chiarire anche la posizione sulla russa Ingosstrakh, un investimento costato 380 milioni di euro rimasto inchiodato per dissidi interni tra Kellner e l’oligarca Oleg Deripaska. Ora Generali ha le mani libere per scegliere cosa fare con quella partecipazione e molto dipenderà dalle prospettive del mercato assicurativo russo, di cui probabilmente la presentazione di oggi fornirà elementi aggiuntivi. Dove Greco fa più fatica e ha meno voglia di occuparsi sono le vicende in cui sono coinvolti alcuni azionisti e le partecipazioni nei cosiddetti “salotti buoni” che nel tempo sono state accumulate nel portafoglio Generali per le più svariate ragioni, quasi mai di mercato. Nonostante la delicatezza delle partite anche in questo campo il nuovo ceo vorrebbe instillare un metodo nuovo che si basa solo ed esclusivamente sulla logica economica degli investimenti. Ha avviato una revisione complessiva delle poste di bilancio all’attivo, principalmente per capire se lì si nascondono buchi o perdite importanti. I risultati della ricognizione a 360 gradi si conosceranno solo con la pubblicazione del bilancio 2012 che dovrebbe presentare un’importante pulizia dei conti. Alcune note dolenti sono però già uscite in maniera non uniforme sulla stampa tanto da aver suscitato le ire di Greco per l’inaffidabilità e la mancanza di riservatezza del consiglio di amministrazione. La prima puntata ha riguardato i cosiddetti azionisti veneti, che attraverso il veicolo Ferak possiedono l’1,7% del capitale di Generali e un altro 2,2% in coabitazione con la Fondazione Crt. Alcuni investimenti effettuati dal Leone sotto la gestione di Perissinotto e a favore di alcuni azionisti Ferak, come il gruppo Amenduni, la Finint e la Palladio Finanziaria, hanno portato a delle perdite nell’ordine di 120 milioni di euro. La rivelazione è stata cavalcata da Mediobanca, primo azionista di Generali, per dimostrare che nella battaglia per la conquista di Fondiaria Sai da parte di Unipol in realtà il Leone era sceso in pista dietro le quinte sostenendo la cordata concorrente che ruotava intorno alla Palladio Finanziaria. Suscitando in tal modo le ire degli stessi azionisti veneti i quali ora chiedono a gran voce che Greco compia una ricognizione approfondita su tutte le operazioni effettuate negli ultimi anni da Generali con tutte le sue parti correlate, da Mediobanca a De Agostini a Caltagirone e Del Vecchio. Una richiesta formale in tal senso potrebbe arrivare dalla Ferak prima della prossima assemblea di aprile anche se Greco ha assicurato in conversazioni private agli stessi veneti che agirà in tale direzione senza aver bisogno di stimoli esterni. La contesa si collega direttamente ai movimenti in corso nell’azionariato Generali e ai prossimi rinnovi di alcuni patti di sindacato nelle società partecipate, come Pirelli, Telco, Rcs. Greco vuole tenere equidistanza dagli azionisti, e applicare il metro economico e non politico a qualsiasi valutazione che riguarda i soldi degli assicurati. Dunque il prossimo patto Pirelli vedrà presente Generali se vi sarà effettiva convenienza a rimanervi, ma l’opzione “mani libere” (dal momento che non esistono compratori all’interno del patto) appare all’esterno la più conveniente anche in vista di un possibile accorciamento della catena di controllo. Così come risulterà difficile a Greco giustificare una eventuale partecipazione di Generali al prossimo aumento di capitale Rcs, a meno che non si creda ad un non lontano exploit del titolo dovuto al nuovo piano industriale appena presentato. Ancora più difficile sarà sciogliere il nodo Telco, dove la compagnia di Trieste è il primo azionista italiano e dove dal 2007 non si fa che registrare svalutazioni e perdite. Ma anche il 3,1% posseduto dal Leone in Intesa Sanpaolo, non vincolato ad alcun patto, potrà essere soggetto a vendite o svalutazioni in funzione del valore di carico. Una mossa, quest’ultima, molto delicata, per l’attenzione con cui i vertici e gli azionisti di Intesa guardano da sempre all’azionista Generali e agli equilibri di sistema. Tanto che stanno crescendo le voci che vedono la formazione di un fronte di azionisti sempre più consistente teso a controbilanciare la forte presenza di Mediobanca e dei soci privati (Del Vecchio, De Agostini, Caltagirone) che negli ultimi due anni hanno gestito le partite chiave del gruppo, dall’uscita di Geronzi all’arrivo di Greco. Il fronte potrebbe mettere in fila le partecipazioni di Intesa, Fondazione Cariplo, Zaleski, quelle dei veneti di Ferak che una volto sciolto il legame con Crt potrebbero anche salire intorno al 5%, le quote diffuse nei fondi comuni che fanno riferimento ancora al gruppo Intesa e che indirizzano il voto del consigliere espresso da Assogestioni e, infine, la quota del 4,5% ex Bankitalia da poco parcheggiata presso il Fondo Strategico della Cassa Depositi e Prestiti. In questa chiave la primavera sarà cruciale per risolvere questi passaggi delicati che troveranno un primo sbocco importante nella pubblicazione del bilancio 2012 per proseguire con l’assemblea di aprile in cui dovrà essere confermato Greco e rinnovato tutto il consiglio di amministrazione.