di Andrea Di Biase

Il contratto stipulato tra Mps e Nomura sul derivato Alexandria è rimasto custodito nella cassaforte dell’ex dg Antonio Vigni per oltre tre anni. E i nuovi vertici della banca, il presidente Alessandro Profumo e l’amministratore delegato Fabrizio Viola, hanno aperto quella maledetta cassaforte il 10 ottobre scorso. Viola ha preso il posto di Vigni il primo gennaio 2012 ed è diventato ad di Mps in primavera, contestualmente alla nomina di Profumo alla presidenza al posto di Giuseppe Mussari. Perché si è atteso sei lunghi mesi prima di aprire la cassaforte dove era custodito il contratto incriminato? Per prassi, quando avviene il passaggio di consegne tra il vecchio e il nuovo vertice di una società, le casseforti contenenti documenti sensibili vengono aperte e il contenuto verbalizzato, in modo che non ci siano sorprese. In questo caso, evidentemente, la prassi non è stata seguita, visto che anche la Banca d’Italia, nel comunicato che inchioda la gestione Mussari-Vigni e promuove lo spirito collaborativo del duo Viola-Profumo, evidenzia che la vera natura di Alexandria è emersa solo di recente «a seguito del rinvenimento di documenti tenuti celati all’Autorità di vigilanza e portati alla luce dalla nuova dirigenza di Mps». A meno che il contenuto di quella cassaforte al momento del passaggio di consegne non fosse stato considerato materiale esclusivo del dg uscente. Di certo, in una situazione così drammatica e complessa, sarebbe opportuno che sia il vertice di Mps, che tanto si sta adoperando per riportare la banca ai valori che le competono, sia Bankitalia, pur nel rispetto del segreto d’ufficio e di quello istruttorio, offrano una risposta in grado di sgombrare il campo agli equivoci. (riproduzione riservata)