di Francesca Bertè* e Sergio Sorgi*

Le prestazioni garantite dal sistema pensionistico pubblico saranno molto esigue per tutti coloro che entrano oggi nel mondo del lavoro rispetto a quelle garantite ai loro padri o nonni. Questo significa che sarà sempre più importante che la popolazione possa e sappia pensare al proprio futuro integrando quanto verrà dato dallo Stato.

Quando la previdenza pubblica non basta e non ci sono denari per svilupparla, di norma si potenzia la previdenza complementare. In Italia invece, malgrado solo il 19% dei lavoratori versi con continuità a una forma pensionistica, da più di cinque anni non si assiste alla creazione di alcun pensiero o azione volti a risolvere il problema dello sviluppo delle previdenze complementari. È dunque necessario riflettere su metodi che possano incoraggiare i cittadini ad aderire alle forme disponibili di previdenza complementare e a contribuire costantemente. Sulla base delle esperienze sviluppate in Italia e all’estero, i temi aperti sui quali confrontarsi e ragionare oggi sono molti. Gli interventi possibili sono di quattro tipi: normativi, economici, educativi e sociali. A monte, due scelte cruciali: il modello di politiche sociali e il rapporto tra pubblica amministrazione e cittadini.

 

Ragionare sulle politiche sociali significa rendersi conto che oggi il welfare italiano è un misto tra un sistema pensionistico basato sul lavoratore (i contributi individuali generano la misura della pensione futura), un sistema sanitario universalista (tutti hanno diritto a eguali prestazioni) e una tutela degli anziani lasciata in capo alla famiglia. È questo il modello di welfare che si vuole perseguire? In merito al rapporto tra pubblica amministrazione e cittadini, bisogna decidere se forzare la scelta (per esempio, rendendo la previdenza complementare obbligatoria), lasciar del tutto liberi i cittadini (come avviene oggi) o indirizzare le scelte delle persone, utilizzando educazione previdenziale di qualità e adottando sistemi premianti e incentivi non solo di ordine fiscale (privi, ad oggi, di fondi e di esiti di successo). Quanto segue propende per questo ultimo tipo di impostazione, coerente con una dinamica adulto-adulto tra Stato e cittadino. Gli interventi di tipo normativo ed economico che dovrebbero entrare nel programma del futuro governo si possono sintetizzare come segue.

1Definire un set di indicatori di benessere pensionistico minimo, personale e familiare, ed evidenziare per tempo ai cittadini sotto tali standard i rischi che correranno.

2 Prevedere sistemi di facilitazione per le imprese nel mantenimento della forza lavoro fino al tempo del pensionamento (sganciare i salari dalla sola anzianità e connetterli alla produttività, facilitare il part-time dei lavoratori anziani consentendo parimenti la percezione di una pensione pubblica ridotta).

 

3Consentire flessibilità di uscita dai piani pensionistici per coloro che vi hanno aderito.

 

4 Prevedere l’erogazione di informazione di tipo previdenziale a ogni nuovo incarico lavorativo e l’utilizzo di pianificatori previdenziali per supportare la scelta più coerente con i bisogni dei cittadini.

 

5 Incentivare le forme pensionistiche a realizzare prodotti pensionistici modulati sulla base delle età (under 20, under 30, under 40) e strategie di investimento di default calibrate e appropriate (basate su età e ciclo di vita in luogo degli attuali «garantiti», che limitano le possibilità di prestazione a lungo termine)

6Rendere obbligatorie per ogni cassa di previdenza informazioni personalizzate al cittadino-lavoratore sulla prestazione pensionistica attesa basate sulla variabilità (evidenziando i rischi finanziari, demografici eccetera) e sulla maggiorazione di prestazione derivante dall’aumento degli attuali contributi.

 

7 Facilitare e semplificare la messa a disposizione, l’adesione e la scelta di piani integrativi.

 

8Modificare gli incentivi fiscali per la previdenza complementare, premiando la continuità di versamento (e non di permanenza) e la percezione della prestazione in forma di rendita (e non di capitale), nonché il raggiungimento di un’integrazione almeno pari all’assegno sociale.

 

9Ampliare la deducibilità fiscale dai soli prodotti alla consulenza previdenziale.

 

10 Estendere il sistema complessivo di deduzioni e detrazioni (o ampliare i servizi sociali) ai cittadini che contribuiscono a sanità e previdenza complementare.

 

A questi interventi andrebbero affiancati anche passi avanti nell’educazione alla previdenza: – Incoraggiare la consapevolezza dei cittadini a proposito del rischio di sopravvivenza al proprio reddito, mediante programmi di educazione finanziaria di qualità (a norma Iso-Uni):

– Promuovere forme di comunicazione tra media, aziende e luoghi di residenza coerenti con i tempi e distinti per categoria di utenza (giovani, donne, single):

– Aumento della visibilità sul tema:

Infine sono necessari interventi di tipo sociale:

– La previdenza pensionistica è parte integrante delle politiche sociali di un Paese, dunque deve rientrare tra gli indicatori generali di benessere della popolazione:

– Il welfare non può procedere per compartimenti stagni. La previdenza deve essere integrata con le politiche del lavoro (si vedano i problema degli esodati attuali e futuri), il «decollo professionale» dei ragazzi (si veda il problema dei mancati contributi in età giovani), la tutela economica delle donne (si veda la mancanza di conciliazione tra lavoro e maternità, che priva di contributi previdenziali le mamme che non possono lavorare). La pensione è parte integrante del welfare e non possono essere fatte riforme pensionistiche senza valutare gli impatti globali che genereranno. In questo senso sono da evitare stimoli all’occupazione giovanile che portino con sé forme di decontribuzione previdenziale.

*Progetica