di Roberta Castellarin e Paola Valentini

I fondi pensione hanno tenuto duro durante la crisi che ha coinvolto i Btp dall’estate 2011. Non hanno venduto i titoli di Stato in portafoglio e ora traggono pieno beneficio dal dimezzamento dello spread. In media i fondi aperti nel 2012 hanno reso l’8,5%, mentre per i fondi negoziali si può stimare un +8% in base ai primi dati disponibili a fine dicembre.

Lo stesso risultato ottenuto dalle principali polizze previdenziali (pip). Nello stesso periodo la rivalutazione del tfr può essere calcolata intorno al 3%.

In particolare per le linee garantite dei fondi pensione il 2012 è stato un anno da incorniciare. Chi nell’ultimo anno si fosse affidato a una gestione di questo tipo avrebbe realizzato rendimenti vicini al 30%. Il miglior fondo pensione dello scorso anno è la Linea 7 Investimento Tfr Garantito 2023 di Ina Assitalia che ha reso il 27%, grazie alla ripresa delle quotazioni dei titoli di Stato italiani su cui le linee garantite puntano. Il calo dello spread che proprio a inizio del 2012 era sui massimi, ha permesso ai titoli in portafoglio di mettere a segno forti recuperi nelle quotazioni dato che le obbligazioni dei comparti previdenziali sono valutate al prezzo di mercato. Non a caso anche il secondo e il terzo miglior comparto del 2012 hanno caratteristiche analoghe: si tratta della linea Ina 8 Investimento tfr Garantito 2033 (+25,32%) e della linea Ina 6 Investimento Tfr Garantito 2015 (+18%).

Anche tra i comparti negoziali le linee garantite hanno registrato performance elevate. Ad esempio il comparto garantito di Pegaso supera l’8% come risulta dai rendimenti raccolti da Milano Finanza.

Ma quest’anno sarà più difficile per le linee con il paracadute replicare il successo del 2012. Oltretutto in questi mesi sono in scadenza diversi mandati garantiti che in media hanno una durata di quattro-cinque anni. E queste linee sono state lanciate proprio dopo la riforma del 2007 per accogliere il tfr dei lavoratori che si sono trovati iscritti automaticamente a un fondo pensione perché, in base alla regola del silenzio assenso, non hanno espressamente dichiarato di voler lasciare il proprio tfr in azienda. Questo rinnovo dei mandati è anche un’occasione per rivedere queste linee che erano nate in condizioni di mercato diverse anni luce rispetto alle attuali. La scelta va verso una minore generosità, anche perché con i tassi destinati a restare ai minimi diventa sempre più complicato garantire rendimenti sostanziosi. Non a caso nella nuova linea sicura di Mediafond la garanzia riguarda «il capitale versato ma non più un rendimento aggiuntivo che nelle precedenti convenzioni era pari al 2%, in linea con quanto avvenuto nel mercato delle convenzioni con garanzia», spiega il fondo pensione dei dipendenti del gruppo Mediaset. Anche Pegaso, il fondo dei lavoratori delle utility, ha scelto questa strada.

Resta il fatto che oggi la pensione di scorta non può essere più considerata un’opzione.

Le regole introdotte con la riforma Monti-Fornero dovrebbero comportare una sostanziale stabilizzazione nel lungo periodo della spesa per il sistema pensionistico obbligatorio. Il provvedimento determina un ulteriore aumento dell’eta di pensionamento (lo Stato dovrà quindi versare l’assegno per un numero inferiore di anni), porta una parità di trattamento tra uomini e donne, abolisce di fatto le pensioni di anzianità e aumenta i contributi versati a parità di età di ingresso nel mondo del lavoro. Le nuove regole allontanano l’assegno, ma resta aperto il tema su quanto la pensione potrà garantire dell’ultimo stipendio. «Una delle maggior sfide da affrontare, a livello di Paese e dopo il passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo, è quella della realizzazione di un sistema previdenziale finanziariamente sostenibile nel tempo e capace di garantire agli anziani un livello di vita adeguato, che possa rimanere tale per l’intera terza età. Una sfida non facile, anche perché i giovani in particolare non sembrano percepire in pieno l’impatto che tale passaggio avrà sulla qualità della loro vita. E ancor meno sembrano orientati a contrastare tale condizione, come risulta da una recente indagine. Solo il 60% degli italiani, il livello più basso in Europa, ritiene una propria responsabilità pensare alla pensione e la percentuale è ancora più alta fra i giovani. Convincerli a uscire da questa condizione, a seconda dei casi di sfiducia o di inerzia, è compito di coloro che credono nella previdenza complementare», ricorda Antonio Finocchiaro, presidente di Covip.

Anche se la riforma ha reso più solidi i conti dello Stato e dell’Inps, il futuro pensionistico degli italiani non è certo roseo. «I vuoti contributivi, le basse retribuzioni e il calo del pil rischiano di produrre nel tempo livelli di copertura del sistema obbligatorio particolarmente ridotti. Già oggi, secondo l’Inps, il 35% dei pensionati dispone di un assegno pensionistico inferiore a 1000 euro. Di questi, 740 mila ricevono meno di 500 euro al mese. Si può vivere dignitosamente con questi importi? Credo di no», ricorda Finocchiaro.

Naturalmente per un giovane è necessario conoscere per decidere di accantonare oggi per qualcosa che arriverà fra 35-40 anni. «Purtroppo, l’aspetto della comunicazione sulla previdenza complementare è stato finora trascurato. O, meglio, numerose sono state le iniziative in tal senso ma sovente sovrapposte quanto a contenuti e, in ogni caso, prive di un centro di coordinamento a livello nazionale». Di fatto è necessario informare i destinatari della più recente riforma sulle nuove regole, sulla differenza fra salario e pensione alla fine della vita lavorativa e su come fronteggiare tale differenza. «Anche per evitare la diffusa convinzione che la loro futura pensione di base sarà più o meno analoga a quella delle generazioni precedenti», dice Finocchiaro. Tale comunicazione difficilmente arriverà in concomitanza con la campagna elettorale, ma più tardi si avviano forme di risparmio destinate alla pensione più è complicato avere un’integrazione adeguata. Perché, come ricorda Finocchiaro, «alla fine dello scorso anno solo il 18% dei lavoratori con meno di 35 anni era iscritto a un fondo pensione. Comprensibile, in considerazione della elevata disoccupazione e precarietà, ma allarmante ove si pensi che la platea giovanile rientra totalmente, a fini pensionistici, nel metodo contributivo». (riproduzione riservata)