Il presidente dell’Epap – Ente di previdenza di geologi, chimici, agronomi/forestali e attuari – Arcangelo Pirrello, critica l’obbligo di rivalutare i montanti pensionistici individuali secondo la media quinquennale del Pil, che con la crisi è calata a picco (dal 4,7% del 2002 all’1,1% del 2012). E torna a chiedere che le Casse possano destinare anche altre risorse alla crescita delle pensioni dei loro iscritti.

In una nota l’Ente spiega che la pubblicazione della relazione della Corte dei Conti sulla gestione finanziaria dell’Epap per gli anni 2010 e 2011 (Determinazione n°119/2012) offre l’occasione per portare ancora una volta all’attenzione dell’opinione pubblica gli effetti negativi sulle pensioni future dei meccanismi di rivalutazione previsti dalla legge per il sistema contributivo.

La Corte sottolinea infatti la diminuzione progressiva del tasso annuo di capitalizzazione dei montanti individuali dal 4,7% del 2002 sino al “minimo storico” dell’1,1 del 2012.

Il montante contributivo individuale è la somma della contribuzione accantonata ogni anno nel corso della vita lavorativa. Costituisce un elemento fondamentale delle pensioni con metodo contributivo, perché su di esso viene calcolato l’assegno pensionistico. Il montante individuale è alimentato solo dalla contribuzione soggettiva e dalla rivalutazione (al 31 dicembre di ogni anno), su base composta, ad un tasso di capitalizzazione pari alla variazione media quinquennale del prodotto interno lordo (PIL) nominale; il tasso è ovviamente lo stesso per tutti gli Enti di previdenza che operano con il sistema contributivo. Null’altro può impinguare i montanti individuali: anche chi avrebbe la volontà e le risorse per farlo, come è il caso dell’Epap, non può aumentare la rivalutazione dei montanti per far crescere la pensione dei propri iscritti.

“Se il PIL crolla le pensioni calano a picco”, aveva titolato qualche tempo fa Affari&Finanza di Repubblica analizzando gli effetti sul sistema previdenziale della mancata crescita dell’Italia. “Questo noi lo denunciamo da tempo. Il nostro problema – commenta il presidente dell’Epap Arcangelo Pirrello – è lo stesso di tutti gli Enti a contribuzione. Siamo costretti dalla legge a capitalizzare annualmente secondo la media quinquennale del PIL, né di più né di meno. Questa media da tre anni a questa parte è caduta a picco. Non è certo colpa dell’Epap o degli altri Enti e Casse: noi da anni chiediamo di poter impinguare i montanti dei nostri iscritti anche con risorse diverse, ma sinora non c’è stato nulla da fare.” “L’unico risultato – osserva ancora Pirrello – è stata la legge n. 133/2011 (Legge Lo Presti), che consente alle Casse dei professionisti (come l’Epap) di aumentare dal 2% al 5% il contributo previdenziale integrativo (quello che i clienti pagano in fattura) e di poterne utilizzare una parte per la rivalutazione dei montanti. Ma l’effetto positivo di questa legge rischia di essere ridotto del 70%, dal momento che il Ministero vuole che non si applichi alla committenza pubblica. E in arrivo, a minacciare le pensioni, c’è anche di peggio: saremo costretti (dal Ministero) ad applicare una riduzione dei coefficienti di trasformazione per via dell’aumento della speranza di vita media.

Proprio con l’obiettivo di aumentare le pensioni noi dell’Epap abbiamo fatto una riforma coraggiosa per alzare il contributo soggettivo e per usufruire della legge Lo Presti”.

Il presidente dell’Epap sottolinea che in ogni caso le pensioni degli iscritti (geologi, chimici, agronomi/forestali e attuari) non corrono alcun rischio di sostenibilità’ nei tempi lunghi: “Ancora tra 50 anni – afferma Arcangelo Pirrello – saremo in grado di pagare fino l’ultima pensione dell’ultimo iscritto o superstite, conservando a quella data un avanzo di amministrazione che secondo i parametri ministeriali più stringenti (da stress test) sarà di 212 milioni di euro, e addirittura di 470 milioni adottando i parametri più probabili. Lo dimostra il nostro ultimo bilancio tecnico attuariale. Il problema è che se non cambia qualcosa le nostre pensioni saranno sempre più ‘da fame’”.