Pagina a cura di Duilio Lui  

Laddove non ce l’hanno fatta le normative e le azioni di moral suasion da parte delle autorità di vigilanza, potrebbe arrivarci la crisi in atto. La mappa del potere finanziario italiano è in rapida evoluzione dopo decenni di immobilismo e questo potrà avere ricadute importanti per i risparmiatori perché sul mercato si formeranno presto nuovi equilibri, con nuovi vincitori e perdenti.

 

Smottamento in casa Generali. La principale novità è arrivata dal recente investor day di Generali a Londra. Nell’occasione, il group ceo del principale gruppo finanziario italiano, Mario Greco, ha pronunciato una frase chiara: «Generali è una compagnia assicurativa e il suo compito non è quello di fare l’azionista strategico, né quello di speculare sul mercato». In sostanza, si torna alla missione originaria, mettendo in secondo piano le partecipazioni nel capitale delle altre aziende. Un passaggio epocale per quella che Cesare Geronzi, nel libro Confiteor, ha definito la «mucca dalle cento mammelle», a indicare la tendenza dei grandi soci a succhiare buona parte dell’enorme liquidità prodotta ogni anno dal colosso assicurativo (terzo in Europa dopo Allianz e Axa).

 

Il sistema delle partecipazioni incrociate. Le frasi pronunciate da Greco assumono un enorme valore, considerato che Generali è lo snodo strategico di quelli che spesso vengono identificati dagli addetti ai lavori come «i salotti buoni» della finanza italiana, a indicare la presenza nell’azionariato di tutti i nomi che contano nella Penisola. Il Leone di Trieste conta tra i suoi grandi azionisti soggetti come Mediobanca (13,5%), Cassa Depositi e Prestiti, che ha da poco rilevato la quota della Banca d’Italia (4,5%), la New B&D, holding della De Agostini (2,4%), il gruppo Caltagirone e Leonardo Del Vecchio (con il 2% a testo). A sua volta Generali è azionista, tra gli altri, in Mediobanca (detiene il 2% del capitale), Rcs (3,7%), Pirelli (4,4%) e Telco (30%), società che detiene il 22% di Telecom Italia. Un sistema di partecipazioni incrociate, che per lungo tempo è rimasto in piedi senza scossoni, consentendo anche ai capitalisti a corto di capitali di perpetrare l’esercizio di potere, tirandosi dietro le critiche di quanti lamentano i conflitti di interessi creati da questo sistema. Quanto basta per capire l’importanza che assumerebbe il disimpegno di Generali anche da una sola di queste partite.

 

Movimenti in corso tra pneumatici e media. Novità non sono attese a brevissimo dal fronte Pirelli, il cui patto di sindacato (che controlla il 45,5% del capitale) ha da poco deciso il rinnovo. Fatto non secondario è, però, la decisione di ridurre il nuovo mandato dai canonici tre ad appena un anno: gli azionisti di minoranza (oltre a Generali, c’è soprattutto Allianz) starebbero, infatti, riflettendo sulla possibilità di farsi da parte nel momento in cui dovesse decollare il piano di ridurre la catena a monte (Mtp-Gpi-Camfin) del gruppo che produce pneumatici. Il numero uno della società, Marco Tronchetti Provera, sta provando a battere questa strada tramite l’ingresso di nuovi soci in grado di apportare i capitali che a lui mancano, ma la direzione che prenderà la partita non è chiara, considerato che l’altro socio forte, la famiglia genovese dei Malacalza, è in rotta di collisione con lo stesso Tronchetti Provera. Forte di un’abbondante liquidità, avrebbe voluto rafforzare il capitale e ridurre il debito, ma la sua posizione è finita in minoranza nel cda, complice l’appoggio delle banche creditrici ai vertici attuali.

La situazione è in evoluzione anche in casa Rcs, dove a fine mese si dovrebbe decidere sull’aumento di capitale per coprire le perdite 2012 (stimate in 400 milioni di euro) e garantire gli investimenti per il rilancio. Gli analisti ipotizzano un intervento non inferiore ai 700 milioni euro, che spaventa non pochi tra gli attuali soci forti di via Solferino, alcuni dei quali alle prese con problemi nelle rispettive aziende. Così si rafforzano le voci che vedono come prossimo un rimescolamento delle forze in campo, in particolare con un indebolimento di alcuni tra gli azionisti attualmente presenti nel patto di sindacato (realtà che controlla la società e conta nomi come la già citata Generali, oltre a Fiat, Mediobanca, Pirelli e Italcementi) a favore di soci esterni, che da tempo premono per crescere nel gruppo editoriale, forti dell’abbondante liquidità accumulata negli ultimi anni. È il caso per esempio di Diego Della Valle (in quest’ottica alcuni leggono le sue critiche recenti all’indirizzo dei vertici Fiat e di Giovanni Bazoli, presidente di Intesa Sanpaolo) e di Giuseppe Rotelli, numero uno delle cliniche in Lombardia.

Potrebbe riservare sorprese, ma solo nel medio termine, anche l’assetto di controllo di Telecom Italia. Rimandata per il momento la vendita di La7, resta comunque da definire il piano di rilancio della compagnia, che fatica a scrollarsi di dosso una pesante situazione debitoria. I soci italiani raggruppati in Telco (Generali, Mediobanca e Intesa Sanpaolo) non sembrano disposti a rimettere mano al portafogli, ma nemmeno il socio industriale, la spagnola Telefonica, viaggia in buone acque. Così la possibilità di un cambiamento del gruppo di controllo è affidata a un eventuale soggetto esterno.

La panoramica si chiude con i movimenti in atto all’interno di Mediobanca, che si appresta alla scadenza del patto di sindacato, prevista per fine anno. I soci forti sono in molti casi quelli già visti anche negli altri centri di potere, da Unicredit a Italmobiliare, a Fininvest e Mediolanum a Benetton, fino agli azionisti francesi come Groupama e Benetton. L’amministratore delegato della investment bank è impegnato in una rifocalizzazione delle attività sul core business, a dispetto delle partecipazioni azionarie, anche alla luce delle disposizioni previste dalle normative internazionali (su tutte Basilea III). Una strategia che lascia spazio a un rimescolamento delle carte in termini di potere, con l’ingresso di nuovi azionisti al posto di quelli meno liquidi.

Considerato il reticolo di partecipazioni incrociate descritto, un piccolo cambio in una delle società esaminate, potrebbe produrre effetti a catena su tutta la galassia dei salotti buoni. Dal punto di vista dei piccoli risparmiatori, una maggiore contendibilità di queste società e un focus più marcato sul ritorno per gli azionisti non potrebbe che far bene alle quotazioni.

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