di Daniele Cirioli  

Sono stati regolarmente pagati ma non danno vita ad alcuna prestazione. È l’identikit dei contributi silenti: soldi regolarmente versati da lavoratori dipendenti (con il concorso delle rispettive aziende), autonomi, collaboratori e professionisti ma da dimenticare, perché non frutteranno alcun diritto ad alcuna pensione, né verranno mai rimborsati ai legittimi titolari.

I contributi silenti sono sparsi un po’ dappertutto nell’universo frammentato del welfare. Non si trovano soltanto all’Inps, ma anche in altri enti e casse previdenziali. Quanti siano effettivamente gli interessati e a quanto ammonti il loro importo, questo no, non si sa. Di sicuro sono tantissimi, sia gli interessati che gli importi; e a seguito della riforma Fornero delle pensioni, è molto probabile che la situazione addirittura volga a peggiorare.

La situazione di contributi silenti si verifica quando un lavoratore non riesce a maturare il requisito contributivo (appunto) fissato per aver diritto alla pensione o ad altra prestazione.

Per esempio, nel vecchio sistema retributivo delle pensioni bastavano 20 anni di versamenti di contributi per ottenere il diritto alla pensione di vecchiaia. In tal caso, possono risultare silenti le situazioni di chi abbia versato contributi per 5/10/15 anni: senza raggiungere quel requisito minimo di 20 anni, i 5/10/15 anni di contribuzione sono praticamente persi. Persi perché acquisiti definitivamente all’Inps, che non li utilizza per pagare una prestazione al lavoratore (pensione o altro, come potrebbe essere un «riscatto») ma nemmeno glieli restituisce. Nel sistema contributivo, fino all’anno 2011, occorrevano 5 anni di versamenti di contributi per ottenere la pensione; dopo la riforma Fornero, dal 1° gennaio 2012, ne occorrono 20 di anni (5 bastano a chi va in pensione a 70 anni).

Ma quant’è in soldoni la perdita sofferta dal lavoratore? Dipende dal tipo di occupazione e dalla retribuzione o reddito. Per esempio, un lavoratore che percepisce una busta paga di 1.500 euro netti al mese versa più o meno all’Inps una cifra attorno ai 700/750 euro al mese, ossia 9/10 mila euro ogni anno; quest’importo, moltiplicato per gli anni di lavoro determina l’ammontare di contributi «silenti»: se sono 5 anni saranno 50 mila euro. Un professionista senza cassa iscritto alla gestione separata Inps, con reddito di 50 mila euro l’anno, paga circa 10/12 mila euro di contributi all’Inps; quest’importo, moltiplicato per gli anni di lavoro determina l’ammontare di contributi «silenti».

Due le vie per sfuggire a questa sicura «perdita» dei contributi silenti: la prosecuzione volontaria e la totalizzazione. La prima consente di continuare a pagare i contributi all’Inps, pur in assenza di un rapporto di lavoro, al fine proprio di raggiungere quel minimo che garantisce il diritto alla pensione. La seconda via, invece, consente a chi cambi lavoro di portarsi dietro i contributi, così da facilitare il raggiungimento del requisito contributivo per la pensione nella nuova gestione assicurativa in cui si trova. Va precisato, però, che la prima via (contributi volontari) è percorribile solo dai lavoratori che possano far valere almeno 5 anni di contribuzione; perciò, quelli che hanno soltanto 4 anni di contributi, sono tutti potenzialmente sulla barca dei contributi silenti. Lo stesso è stato, fino all’anno 2011, anche per la totalizzazione (erano cumulabili solo gli spezzoni contributivi di durata pari ad almeno tre anni). Dall’anno scorso, fortunatamente, questo vincolo minimo è stato eliminato.

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