Daniele Autieri

Roma M anager e consulenti, dirigenti e advisor. Da un lato Goldman Sachs ed Ernst & Young, dall’altro Kpmg e Lazard. Sono stati loro gli sparring partner finanziari che hanno condotto a buon fine la delicata fusione tra Fonsai e Unipol dando vita alla più grande compagnia di assicurazione italiana nel ramo “Danni”. Mentre sta per partire il merger tra Fiat e Chrysler. Che sia un “merger” o una “acquisition”, dietro la stretta di mano degli amministratori delegati e il voto consensuale dei consigli di amministrazione, c’è un lavoro oscuro portato avanti dai manager del business development interni alle aziende in collaborazione con i consulenti esterni. «In genere – spiega Max Fiani, partner di Kpmg Corporate Finance, la società di consulenza strategica che ha supportato Unipol nell’operazione con Fonsai – le grandi aziende italiane hanno al loro interno una figura che si occupa esclusivamente delle M&A. Parliamo dei cosiddetti manager del business development, che non sono semplici chief financial officer, ma dirigenti con un’ampia esperienza alle spalle, che magari nel passato hanno ricoperto ruoli di country manager in Italia e all’estero e che, pur masticando di finanza, sono esperti del business e della sua sostenibilità». «Oggi – prosegue Fiani – queste figure che di norma operano nello staff dell’amministratore delegato, vivono un periodo di difficoltà dovuto alla contrazione delle operazioni di fusione e acquisizione, legata alla crisi economica e alla carenza di liquidità che questa ha portato nel mercato non solo italiano». Non è un caso, infatti, che scorrendo il report appena pubblicato da Kpmg sulle 10 maggiori operazioni di M&A concluse in Italia nel 2012, emerge come tre delle prime sei siano state condotte non da un player privato ma dalla Cassa Depositi e Prestiti. Parliamo dell’acquisizione del 100% di Sace (un’operazione da 3,7 miliardi di euro), del 30% di Snam (3,5 miliardi) e del 100% di Fintecna (1,5 miliardi). Detto questo, e nonostante la crisi economica, i manager del business development non sono stati con le mani in mano. L’ultima grande operazione italiana in ordine di tempo non ancora conclusa riguarda Fincantieri. Il colosso della nautica sta completando l’acquisto della Stx Osv, una società quotata alla Borsa di Singapore e leader mondiale nella costruzione di mezzi di supporto alle attività di estrazione e produzione di petrolio e gas naturale. A seguire come advisor l’Opa da quasi un miliardo di euro c’è lo studio Tonucci e il suo partner Mauro Baldissoni che già nel 2011 aveva gestito l’acquisizione della As Roma da parte degli americani guidati da Thomas DiBenedetto. «Nel caso dell’operazione Fincantieri – commenta Baldissoni – abbiamo lavorato a stretto contatto con il top management dell’azienda. In primo luogo con il responsabile del dipartimento di business development, poi il capo della finanza e l’ufficio legale. E tutti riportavano direttamente all’amministratore delegato Giuseppe Bono. Per concludere con successo un’operazione del genere ci vogliono mesi di lavoro, dove tutti i soggetti sono impegnati h24». «Il caso Fincantieri – prosegue Baldissoni – dimostra che anche in un periodo di leva finanziaria limitata il mercato delle M&A non è fermo, anzi in questa fase chi ha liquidità può fare buoni affari e trovare opportunità in Italia e all’estero». E proprio i manager protagonisti di queste operazioni sono stati i primi ad adeguarsi alla nuova tendenza e ai cambiamenti che questa ha comportato. Secondo uno studio condotto da Manageritalia, la parte più difficile per i dirigenti inizia a fusione terminata. È in questa fase che si aprono i capitoli delicati dell’integrazione tra figure simili, dell’armonizzazione delle politiche commerciali, del riposizionamento dei brand. E proprio la difficoltà di integrazione tra le diverse culture aziendali è per il 78% dei manager italiani il problema primario che emerge da un’operazione di finanza straordinaria. A confermarlo è Mario Mantovani, vice presidente di Manageritalia ed esperto in M&A: «Una fusione o un’acquisizione rappresentano un processo di cambiamento che deve agire in profondità, coinvolgendo tutta la catena manageriale, facendo comprendere a ciascun manager il suo ruolo per ridurre il periodo d’incertezza e difficoltà post-fusione, che è spesso causa d’insuccesso. Gli esuberi di personale, quasi mai evitabili, devono essere gestiti con professionalità ed attenzione. La perdita di colleghi stimati, punti di riferimento, amici, può generare una spirale psicologica negativa, proprio nella fase in cui servirebbero entusiasmo e coesione per affrontare la nuova sfida. Occorre valorizzare il contributo di tutto il management nella delicata fase post- fusione o acquisizione: non è un solo un “affare” per advisor e manager finanziari ». Da qui la difficoltà di reperire sul mercato figure manageriali adatte a ricoprire questi ruoli, che abbiano una padronanza del business, un’approfondita conoscenza finanziaria, ma anche una sensibilità spiccata nella gestione delle risorse umane. Secondo Fabio Ciarapica, partner della società di executive search Praxi, «la maggioranza di queste figure professionali lavora ormai nei fondi di private equity, dove sviluppano però competenze prettamente finanziarie». «A livello aziendale – spiega Ciarapica – solo le grandi aziende e in particolare quelle attive nel farmaceutico e nell’energia, hanno al loro interno strutture fisse di business development, mentre nel mondo delle Pmi questo ruolo viene spesso ricoperto dall’imprenditore stesso».