Il sistema della previdenza complementare è “da consolidare, irrobustire, rilanciare” se “si vuole evitare, in particolare alle generazioni di lavoratori più giovani, una vecchiaia di ristrettezze e con un tenore di vita di molto inferiore rispetto a quello del tempo del lavoro. Una condizione, questa, foriera di possibili forme di instabilità sociale”.
Lo ha affermato il presidente Covip, Antonio Finocchiaro, nel corso di un convegno organizzato con il Censis ieri a Roma, sottolineando che “il futuro pensionistico dei nostri cittadini deve necessariamente contare su una componente che si chiama previdenza complementare”.

La crisi economica, le misure di austerity, la riforma delle pensioni “non potevano non riflettersi anche sulla previdenza di secondo pilastro: solo un quarto dei lavoratori italiani ha, ad oggi, sottoscritto un piano di previdenza complementare, mentre sono in aumento le sospensioni contributive”.

Finocchiaro ha detto che occorre “colmare la voragine informativa” sulla previdenza complementare, dal momento che “il numero di coloro che sono fuori dal  sistema è ancora molto alto. Né è ipotizzabile, almeno nelle condizioni attuali, una spontanea, naturale crescita della previdenza complementare a bilanciare la contrazione della rendita derivante dalla previdenza di base. In sintesi – sottolinea  Finocchiaro – il ritardo accumulato della previdenza complementare nel nostro paese è rilevante”. 

Un’indagine condotta dal Censis fa emergere “la scarsa fiducia goduta dalla previdenza complementare”. Questo nonostante la convinzione che “le regole previdenziali sono destinate a cambiare ancora; bisognerà lavorare per più anni, con la rendita pensionistica che verrà percepita più tardi; la pensione di base sarà più bassa rispetto ai valori odierni e in ogni caso inadeguata rispetto ai bisogni; la rendita crescerà, nel tempo, in misura inferiore all’incremento del costo della vita”.

Dalla ricerca realizzata dal Censis “Promuovere la previdenza complementare come strumento efficace per una longevità serena” e presentata nel corso del convegno emerge scarsa conoscenza della pensione futura e discontinuità dei percorsi lavorativi accrescono le paure.

Il 39,4% degli occupati tra i 18 e i 34 anni ha un percorso contributivo intermittente. E adesso l’allarme riguarda anche i dipendenti pubblici: il 21,4% teme di perdere il lavoro, il 24,1% di finire nel precariato. Malgrado i timori, le scelte di risparmio per la vecchiaia penalizzano la previdenza complementare, ancora troppo poco conosciuta

I giovani lavoratori italiani (18-34 anni) credono che quando andranno in pensione riceveranno un assegno pari in media al 53,6% del loro reddito da lavoro. E il 30% di essi si aspetta una pensione di base inferiore alla metà del reddito attuale. Preoccupati da una vecchiaia da trascorrere in ristrettezze economiche (39%), sono consapevoli di dover integrare la pensione pubblica con qualche forma di risparmio: titoli mobiliari (38,8%), il mattone (19%) e la previdenza complementare (17,4%).
Tra i giovani lavoratori non aderenti alla previdenza complementare, il 36% è disposto a farlo, anche se ora preferisce aspettare. Quando si pensa alla pensione, a prevalere e’ la paura: di perdere il lavoro e non riuscire a versare i contributi (34,3%), o di diventare precari e quindi di poter versare i contributi solo in modo saltuario (32,7%). Già oggi il 39,4% dei giovani lavoratori ha un percorso contributivo discontinuo a causa di lavori precari o impieghi senza versamenti pensionistici.
Solo il 23,5% dei lavoratori italiani ritiene che andrà in pensione all’età desiderata. Il 25% dei lavoratori pensa che andrà in pensione dopo i 70 anni. Il 31,2% desidererebbe andare in pensione addirittura prima dei 60 anni (il 25,9% dei maschi e il 37,5% delle donne), il 46% tra 60 e 63 anni (il 46,5% dei maschi e il 45,6% delle donne) e solo il 10% degli autonomi vorrebbe andare in pensione dopo i 70 anni, così come il 2,5% dei dipendenti privati e il 2,1% degli impiegati pubblici. Voglia di fuggire dal proprio lavoro e voglia di longevità attiva si saldano nel generare un’insoddisfazione diffusa rispetto al prolungamento dell’età pensionabile.
Pensando alla pensione futura, anche il 21,4% dei dipendenti pubblici teme di perdere il lavoro e di non riuscire a versare i contributi; il 24,1% di finire nel precariato e di poter versare i contributi solo in modo intermittente; il 21,3% ha paura di non avere abbastanza reddito per finanziare forme integrative della pensione pubblica. Pur meno preoccupati dei dipendenti privati (tra i quali il 40,8% teme di perdere il lavoro e il 24,5% di diventare precario), tuttavia colpisce questa nuova inquietudine che coinvolge anche i dipendenti pubblici, antichi alfieri del posto fisso.
Per quanto riguarda la previdenza complementare, il Censis riscontra scarsa conoscenza e poca fiducia. Non ci sono preclusioni ideologiche rispetto alla previdenza complementare, visto che il 42% dei lavoratori considera il sistema previdenziale misto, fatto di pubblico (pensione di base) e privato (pensione complementare), come il più sicuro. La quota di lavoratori che vede nel sistema misto il modello più sicuro è maggiore tra gli autonomi (il 47%), piuttosto che tra gli impiegati pubblici (32%). Ma la conoscenza della previdenza complementare è scarsa: sono 16 milioni i lavoratori che non hanno idea di come funzioni.
Tra i motivi della scelta di non aderire alla previdenza complementare, il 41% dichiara di non poterselo permettere, il 28% non si fida di questi strumenti, il 19% si ritiene troppo giovane per pensare alla pensione, il 9% preferisce lasciare il Tfr in azienda. Particolarmente bassa è la fiducia dei lavoratori autonomi, tra i quali il 35% dichiara di non aderire perché non si fida degli strumenti di previdenza complementare, percentuale che scende al 26,5% tra i dipendenti pubblici e al 26,3% tra quelli privati. Oltre al fattore economico, quindi, la scarsa diffusione della previdenza complementare dipende dalle voragini informative e dalla ridotta fiducia nei soggetti che attualmente offrono gli strumenti di previdenza complementare.