di Roberta Castellarin e Paola Valentini

La pensione si allontana per tutti e i piani integrativi si allungano. Anche chi oggi ha 50 anni dovrà aspettare altri 20 anni per accedere al buen retiro. Che siano uomini o donne, dipendenti o autonomi non cambia niente, l’assegno Inps arriverà solo dopo aver superato l’età di 68-70 anni.

Questo naturalmente ha un effetto positivo sull’ammontare della rendita, che mediamente sale. Infatti la copertura rispetto all’ultimo stipendio per i dipendenti 30-40 enni si alza dal 62 al 69% e per i cinquantenni dal 64 all’80%. Nel caso degli autonomi la copertura sull’ultimo stipendio sale di circa il 10%. Sono i numeri che emergono da un’elaborazione della società di consulenza indipendente Progetica, che ha messo a confronto età della pensione, assegno atteso e risparmio necessario da destinare alla previdenza di scorta prima dell’estate 2011 e dopo le riforme che si sono susseguite nei mesi scorsi, fino a trovare un nuovo impianto col decreto salva-Italia approvato alla fine dello scorso anno.

La riforma previdenziale contenuta nel decreto rappresenta una svolta per il welfare italiano. L’intervento messo a punto dal ministro Elsa Fornero ha abolito le pensioni di anzianità, costringendo i lavoratori a rimanere in attività anche fino a sei anni in più, e ha introdotto per  tutti il sistema contributivo di calcolo della pensione, nel segno di una maggiore equità tra generazioni.

Per i lavoratori assunti dal 1 gennaio 1996 valeva già il principio del contributivo per il calcolo dell’intera pensione, mentre quanti a quella data avevano meno di 18 anni di contributi ricadono nel sistema misto, cioè il loro assegno viene calcolato fino al 31 dicembre 1995 con il più generoso sistema retributivo e dopo con il contributivo. Ora il pro rata è esteso anche ai lavoratori che al 1° gennaio 1996 vantavano più di 18 anni di contributi. Per loro dal 2012 la pensione sarà calcolata con il contributivo, fatti salvi gli anni precedenti. Proprio perché prossimi alla pensione, per questi lavoratori l’assegno finale sarà comunque vicino all’80% dell’ultimo stipendio, trattamento riservato a chi ha la pensione calcolata interamente con il metodo retributivo. Non è così invece per chi ricade nel misto o nel contributivo puro, cioè i più giovani. In questi casi la pensione che ci si può aspettare, nonostante una maggiore permanenza al lavoro è in media del 70% dell’ultimo stipendio, con casi anche del 40% per gli autonomi, che versano meno contributi nell’ipotesi di continuità lavorativa.

Eppure la maggior parte dei lavoratori presta attenzione al fatto che deve lavorare di più, sottostimando invece il problema di quanto potrà ottenere. «Il ridimensionamento delle prestazioni pubbliche implicito nelle riforme attuate richiede un valido pilastro di previdenza complementare per rendere socialmente sostenibile il sistema», sottolinea Assonime.

Tra i motivi del mancato sviluppo dei fondi complementari Assonime cita l’insufficiente consapevolezza da parte dei lavoratori del ridimensionamento futuro delle pensioni pubbliche. «In generale, sebbene la riforma abbia potenzialmente migliorato i tassi di sostituzione, l’assegno pensionistico che potrà dare lo Stato probabilmente non sarà sufficiente a coprire le necessità e gli stili di vita dei futuri pensionati. Resta dunque forte la necessità di aumentare la sensibilità dei cittadini verso il tema, attraverso opportune forme di educazione previdenziale volte a rendere le persone consapevoli dei propri bisogni e a supportarle nell’identificazione di figure professionali idonee a soddisfarli», dice Andrea Carbone di Progetica. E proprio l’analisi effettuata da Carbone fa emergere come « l’allungamento dell’età pensionabile, oltre ad aumentare il tasso di sostituzione, diminuisce l’esborso stimato necessario per ottenere 1.000 euro di rendita». Come si può vedere dalla tabella in pagina l’importo da versare ogni mese per crearsi una pensione di scorta di mille euro è scesa notevolmente rispetto a quanto bisognava accantonare pre riforma. Per esempio un trentenne in base alle vecchie regole avrebbe dovuto versare 328 euro mensili in una linea bilanciata in modo da avere mille euro dopo i 65 anni. Lo stesso trentenne oggi deve investire 211 euro per ottenere un’equivalente rendita di scorta a 70 anni. Si tratta di oltre 100 euro in meno che si possono però facilmente spiegare: versa per più anni e avrà, invece, la rendita per meno anni perché va in pensione più tardi.

Per un cinquantenne il divario è decisamente più importante perché in questo caso il salto in avanti è di ben sette anni. Si passa quindi dai 1.459 euro che bisognava accantonare in una linea bilanciata prima della riforma per aspirare a una rendita di 1000 euro a 63 anni, a 619 euro da destinare sempre alla linea bilanciata per avere mille euro al mese dai 70 anni in avanti. «Variazioni di questa portata ricordano quanto sia importante monitorare regolarmente nel tempo la propria posizione previdenziale», osserva Carbone, «verificando eventuali scostamenti rispetto agli obiettivi. Uno degli effetti della recente riforma apparirebbe dunque, dal punto di vista del cittadino, uno scambio tra tempo e risorse. A patto, naturalmente, che i nostri sistemi produttivi e di welfare in futuro siano in grado di favorire la partecipazione al mondo del lavoro di donne e uomini con età superiori ai 60-65 anni, valorizzandone l’esperienza».

 

Da qui anche la necessità di un conteggio individuale periodico che indichi quando e con quale assegno si potrà andare in pensione. Questo vuoto informativo sarà presto colmato. I lavoratori potranno ricevere presto la cosiddetta busta arancione che, sul modello svedese, indica l’importo della pensione pubblica che ci si può aspettare. «C’è l’intenzione da parte di Inps, Inpdap, Enpals e casse private di inviare 40 milioni di lettere agli italiani», ha evidenziato il presidente dell’Inps, Antonio Mastrapasqua, «grazie alla banca dati delle posizioni attive che l’Inps ha realizzato in un anno di lavoro, per metterli in condizione di fare la scelta giusta». E soprattutto di fare una scelta. Perché oggi in Italia solo il 23% dei lavoratori aderisce ai fondi pensione, contro circa il 90% nel resto d’Europa. Chi ha aderito ai fondi riceverà nelle prossime settimane il rendiconto sui rendimenti 2011. E dovrà in molti casi fare i conti con rendimenti negativi perché i fondi pensione, stretti tra spread alle stelle e borse in crisi, hanno sofferto. Questo vale sia per i prodotti aperti, sia per i negoziali e per i piani individuali pensionistici (pip) che hanno fatto fatica a superare l’asticella del 3,2% netto del tfr lasciato in azienda. Quanto ai fondi aperti, il rendimento medio è stato negativo del 2,24%. Ma su oltre 370 fondi, quasi un terzo ha registrato una performance positiva. Mentre in totale sono 12 i comparti che hanno reso più del 2%, ma nessuno è riuscito a battere il tasso di rivalutazione del tfr. In cima alla classifica dei rendimenti 2011 c’è il fondo Aureo comparto obbligazionario di Aureo gestioni sgr che ha guadagnato il 2,57% netto, seguito da Arca previdenza linea rendita con il 2,49% e il Giustiniano linea obbligazionaria di Intesa previdenza sim che ha registrato il 2,43%. In affanno anche i rendimenti dei fondi negoziali. In base ai dati raccolti da MF-Milano Finanza sulla metà dei comparti di categoria operativi, nessuno a fine 2011 era riuscito nell’impresa di superare il 3,2% del tfr, ma in media i rendimenti dei fondi negoziali hanno retto bene l’urto della crisi: il comparto peggiore, la linea Sicurezza di Cometa, ha perso il 5,3% netto. Al contrario i fondi pensione aperti, da sempre più aggressivi e diversificati dei negoziali, sono arrivati a perdere anche il 16% nelle linee azionarie e oltre il 20% nelle linee obbligazionarie a lunga scadenza. Un risultato causato dall’esplosione degli spread che ha tagliato drasticamente il valore dei titoli di Stato in portafoglio. Dal momento che i fondi pensione valorizzano i titoli al valore di mercato, una discesa dei corsi dei bond ha un impatto immediato sui rendimenti. Ma quando la situazione si normalizzera si assisterà a una ripresa dei valori delle quote. Sul fronte dei pip, mancano i rendimenti delle gestioni separate, disponibili in ritardo rispetto a quelle dei fondi aperti e dei negoziali, mentre sono già pronti i numeri relativi alle unit linked. In base ai dati relativi ai pip più diffusi spicca il 5,57% della linea unit linked Ch provident 3 che fa parte del pip di Mediolanum. Un’arma in più per i gestori per fronteggiare la volatilità dei mercati potrà arrivare dal nuovo decreto sugli investimenti dei fondi pensione che dal 2008 attende si essere varato. Ma adesso il Tesoro è vicino alla chiusura del nuovo testo dopo un nuovo confronto con la Covip.

 

Intanto quando si pensa al proprio futuro pensionistico non bisogna dimenticare che l’assegno Inps per un lavoratore italiano sarà legato anche alla crescita dell’economia. Una stagnazione prolungata in Italia taglierebbe l’assegno futuro fino al 25%. Tanto più che i lavoratori devono già fare i conti con l’eredità del biennio 2008-9, due anni di profonda recessione che ancora pesano sulle medie quinquennali del pil utilizzate per rivalutare i contributi. Dal 2010 al 2012 le medie appaiono negative in termini reali per via del biennio 20089 (-6,3% complessivo): con le piccole crescite degli altri anni la media quinquennale non basta ad assorbire tali eccezionali annate. Ora peraltro il Paese è di nuovo entrato in recessione per cui i dati dovranno essere ancora rivisti all’ingiù. Ciò significa che i montanti contributivi perdono valore rispetto all’inflazione e dunque la prestazione pensionistica attesa crescerà meno di quanto potrebbe. Tale situazione permarrà probabilmente fino a quando questa nuova recessione non sarà riassorbita.

Resta poi il tema della sostenibilità dell’intero sistema pensionistico obbligatorio italiano. «L’equità deve costituire un presupposto imprescindibile nella sua gestione, in quanto le pensioni sono pagate dai contributi correnti di chi è attivo», dice Massimo Angrisani, ordinario di tecnica attuariale per la previdenza dell’Università Sapienza di Roma. «Tale sostenibilità, quindi, è basata sulla solidarietà intergenerazionale.»

Oggi chi sta contribuendo deve pagare pensioni che risultano palesemente superiori a quella che lui stesso percepirà pagando, peraltro, contributi ben superiori a quelli pagati da un attuale pensionato. «Il sistema deve essere basato sulla solidarietà e non, come qualcuno crede, sulla ottusità intergenerazionale», aggiunge Angrisani: «Il sistema è ricco di pensioni che risultano regalate rispetto ai contributi versati». Quindi secondo Angrisani sarebbe necessario un nuovo intervento sulle pensioni d’oro a favore della generazione delle magre pensioni. (riproduzione riservata)