di Andrea Bassi e Anna Messia

 

Un bomba che avrebbe un effetto deflagrante per il settore assicurativo. Tanto che il settore fa fatica a immaginare che possa essere vera. I manager delle compagnie di assicurazione italiane sono saltati sulla sedia a leggere la bozza circolata ieri del decreto liberalizzazioni che il governo si prepara a mettere a varare. Un articolo in particolare, ha gelato il sangue dei responsabili delle compagnie, perché rischia di smontare quello che finora è stato l’asset principale delle società di assicurazione: le reti di vendita. Secondo la bozza le compagnie non potrebbero più distribuire, direttamente o tramite agenti monomandatari, i propri prodotti e servizi ai clienti finali. Non solo. A far data da un anno dalla pubblicazione del decreto chiunque distribuirà servizi e prodotti assicurativi dei rami Danni e Vita dovrà offrire polizze di almeno due imprese. In pratica verrebbe stabilito per legge l’obbligo di plurimandato andando ben oltre le leggi Bersani che dal 2007 hanno vietato il monomandato nel solo ramo danni. Un vincolo che è stato facilmente superato senza troppi intoppi della compagnie che hanno continuato a operare con agenti che lavoravano in esclusiva per loro, anche se senza obbligo. Le nuove regole non lo consentirebbero più, intaccando alle fondamenta il valore delle imprese che sarebbero costrette a rivedere il proprio modello di business. e mettendo fuori legge le compagnie dirette, quelle telefoniche e online, che in questi ultimi anni hanno consentito agli assicurati di ottenere buoni risparmi.

Mentre dalle bozze sulle liberalizzazioni continuano ad emergere sorprese, il dato certo per ora è che il decreto sta facendo salire esponenzialmente la temperatura, anche del clima politico. Le polemiche più aspre, almeno a sinistra, si sono scatenate per la decisione di inserire una norma che aumenta a 50 dipendenti in caso di fusioni aziendali, il limite oltre il quale si applica l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. L’ex ministro del lavoro del Pd, Cesare Damiano, ha definito l’ipotesi «inaccettabile». Ovviamente anche i sindacati sono insorti uniti. Anche a destra, però, si alzano voci di protesta. Ieri è stato lo stesso Silvio Berlusconi a mettere un freno. L’ex premier ha detto sì alle liberalizzazioni, ma solo a «quelle utili». E tra queste, secondo Berlusconi, non ci sarebbe quella che abbassa a 3 mila abitanti il tetto per aprire una farmacia. Le ragioni dei tassisti, per i quali il decreto prevede un aumento delle licenze anche se a fronte di adeguate compensazioni a chi già lavora, sono state a sorpresa difese dal leader della Lega Umberto Bossi. «I tassisti», ha detto il Senatur, «per tanti anni hanno lavorato con difficoltà per pagarsi la licenza, hanno lavorato da sottopagati. Adesso arriva Monti che non tocca il suo stipendio, non lo diminuisce, ma va a toccare quello degli altri». Contro i saldi liberi, invece, si è schierata Confesercenti. Tutte le categorie, comunque, annunciano mobilitazioni. Oggi, durante il cdm ci sarà un primo giro di tavolo sulla bozza del provvedimento che, tuttavia, dovrebbe essere approvato solo la prossima settimana al consiglio dei ministri del 20. Dal testo continuano ad emergere novità. Come quella sulla class action. Il campo di applicazione dell’azione di classe all’italiana (che a dire il vero fino ad oggi non ha avuto un gran successo), stando alla bozza del provvedimento, sarebbe esteso innanzitutto permettendo di partecipare a tutti coloro che hanno un interesse «omogeneo» e non più «identico», come prevede l’attuale definizione. Questo, in pratica, renderebbe più semplice l’adesione all’azione collettiva. Anche i tempi verrebbero accorciati. La Corte di appello dovrebbe decidere entro 40 giorni e in caso di conciliazione le parti dovrebbero trovare un accordo in 90 giorni. (riproduzione riservata)