di Roberta Castellarin e Paola Valentini

 

Sul fronte della raccolta il 2011 è stato un anno da dimenticare per i fondi comuni italiani con deflussi per 29 miliardi di euro, ma su quello delle performance forse è andata ancora peggio. Stretti tra spread alle stelle e borse in difficoltà, i money manager nel 2011 non sono riusciti a restare agganciati all’indice.

Il 2011 si è chiuso con perdite dell’ordine del 25% per Piazza Affari e del 17% per le borse della zona euro; in questo scenario soltanto il 13,4% dei gestori ha superato il proprio benchmark. Una percentuale, a dir la verità, in linea a quelle degli ultimi anni: dal 2000, ovvero da quando è stato introdotto in Italia questo parametro, la percentuale dei gestori batti-benchmark oscilla attorno al 10-20%; ha fatto eccezione il 2009 quando la percentuale di gestori sopra all’indice è stata pari al 42% per il fatto che azioni e bond erano cresciuti in modo indiscriminato avvantaggiando i fondi italiani tradizionalmente agganciati all’indice. A pesare sui risultati 2011 c’è anche la nuova tassazione dei fondi italiani (introdotta il 1° luglio scorso) che si basa sul criterio per cassa, in sostituzione della tassazione sul maturato in base al quale giorno dopo giorno viene prelevato dal rendimento il 12,5% (oggi 20%). In caso di mercati al ribasso, come nel 2011, quest’ultimo criterio permetteva ai fondi di contenere le perdite perché si crea un credito di imposta che resta congelato.

Una opportunità in più che da luglio i gestori italiani non possono più sfruttare. Ma ecco in dettaglio il confronto effettuato da Milano Finanza tra i fondi comuni di diritto italiano e i loro benchmark di mercato.

 

Sui fondi di diritto italiano che hanno dichiarato a fine 2011 la performance dell’indice di riferimento, il 13,4%, come detto, è riuscito a fare meglio del parametro. Una media dietro la quale si nascondono differenze tra categorie. A partire dalla liquidità area euro dove il 12,5% ha superato l’indice: in media i fondi hanno reso lo 0,5 contro l’1,6% del paniere. In questo caso i gestori hanno dovuto fare i conti con il crollo dei rendimenti dei titoli a breve termine italiani diversificando nei corporate bond per dare una marcia in più ai rendimenti. Ma nei fondi di liquidità, su cui tra l’altro incidono molto i costi, c’è chi ha superato anche il 2%: è il caso di Norvega Monetario che ha chiuso l’anno con un guadagno del 2,3% a fronte di un benchmark che ha ottenuto l’1,7%. Norvega è una delle poche sgr presenti nella lista dei fondi che hanno battuto il benchmark piazzandone sei in top class; tra questi c’è l’obbligazionario misto Norvega Moderato che ha reso il 5,1% battendo di oltre 4 punti percentuali il proprio indice di riferimento (+0,55%). Un risultato notevole considerate le turbolenze sui mercati obbligazionari, comparto in cui soltanto il 13% ha battuto il benchmark con alcune sub-categorie dove nessun gestore ha superato l’asticella dell’indice (obbligazionari specializzati in titoli di Stato internazionali e obbligazionari corporate in euro).

Leggermente migliore la situazione tra gli azionari dove il 18,2% del campione è riuscito a fare meglio dell’indice. I gestori sono in particolare riusciti a contenere le perdite nei mercati più conosciuti. A partire da Piazza Affari dove oltre un gestore su tre ha perso meno del benchmark. In media, comunque, i fondi azionari Italia hanno ceduto il 22% contro il 25% dell’indice. Nelle borse dell’area Euro due money manager su tre hanno superato il benchmark e anche in questo caso si tratta di gestori che hanno perso meno del mercato. Tra questi spiccano i fondi di Prima e di Pioneer, due sgr alle quali appartengono la maggior parte dei fondi che hanno superato l’indice, in compagnia di Ubi Pramerica e Bnp Paribas.

Le società di gestione italiane dal 2000 hanno l’obbligo di calcolare e rendere pubblica ogni settimana la performance a 12 mesi (o un suo multiplo) del benchmark scelto per ogni fondo. È anche scelta delle singole società utilizzare parametri al netto o al lordo della ritenuta del 12,5%, ma tutti i prodotti hanno optato per il netto. Un problema che peraltro non si pone più dal 1° luglio 2011 visto che con la riforma fiscale il rendimento dei fondi viene calcolato sulla quota lorda e non più su quella netta. Dal confronto sono stati esclusi i prodotti che nell’anno hanno cambiato categoria e quelli che non hanno pubblicato il benchmark. (riproduzione riservata)