«Le nostre casse sono ben amministrate, in equilibrio e garantiscono la pensione dei nostri colleghi. Non c’è alcuna preclusione da parte nostra a rivedere i meccanismi della previdenza dei professionisti. Ma questa trasformazione non può passare per un esproprio dei patrimoni delle Casse. Perché poi sarebbe proprio questo l’esito scontato della nascita di un Super Inps». Marina Calderone, presidente del Cup, Comitato unitario professioni, va dritta al punto.
Siete allarmati dall’ipotesi che la Casse di previdenza private confluiscano di nuovo sotto il controllo pubblico?
«Per ora sono solo ipotesi. Il governo non si è espresso ancora. Ma il tema è di quelli ricorrenti in modo ciclico, specie in situazioni di crisi economica».
Temete che si voglia far cassa?
«Il patrimonio delle Casse professionali è molto importante. Questo è un dato di fatto. Ma è altrettanto chiara la scelta compiuta dal legislatore nel ’94 quando decise che le Casse da pubbliche diventassero private. Ora sono in equilibrio e sottoposte a rigidi parametri di controllo. Devono garantire una stabilità trentennale e una riserva matematica di 5 annualità per ogni pensione. Mentre l’Inps solo una».
Nessuna apertura?
«È sbagliato portare all’Inps le nostre Casse. Non ne capisco la finalità. Sì, c’è un interesse a far cassa. Ma il rendimento del nostro patrimonio serve a pagare le pensioni dei colleghi. E fino ad ora è sempre successo, grazie ai virtuosi criteri applicati. Anche in presenza di turbative dei mercati finanziari. Se confluisse nel patrimonio pubblico, quello che oggi è in equilibrio domani non lo sarebbe più».
Quale vantaggio dal Super Ente?
«Assolutamente nessuno. Operazioni di questo tipo si giustificano solo se si vogliono ottenere performance migliori di quanto facciano le nostre Casse. Ma questo non può avvenire, proprio per quei controlli rigidi cui sono già sottoposte. La sensazione è che questo governo voglia introdurre parametri di efficienza per rilanciare anche le professioni. Lo faccia, ma senza passare per un esproprio».
Il capitolo delle pensioni è già in cantiere.
«Non c’è alcuna preclusione sul passaggio al contributivo come su altri temi. Previdenza integrativa inclusa. Io dico: parliamone».
Vi sentite sotto attacco con le liberalizzazioni?
«Sicuramente c’è un’aggressione dei grossi potentati al comparto delle professioni. Non posso leggere in altro modo la società tra professionisti che poi non è tale, ma una banale società di capitali. Un orpello in più e una grossa turbativa all’interno del mercato. Se il socio di capitale è invasivo, si mette in discussione la libertà del professionista di gestire l’incarico in modo indipendente».
Può essere utile ai giovani?
«Così fatta, senza correttivi, la norma sarà una pietra tombale sulle giovani generazioni. Chi ha i mezzi finanziati remunera il meno possibile la prestazione professionale. Avremo una classe di professioni intellettuali sottopagate. Ecco come vanificare le premesse per una vera riforma».
Da dove ripartire?
«Non focalizziamoci su ipotetici privilegi che non esistono più. Negli ultimi due anni il settore dei professionisti è cresciuto del 5%. Dire che le professioni sono chiuse a nuovi ingressi è una palese falsità. Non abbiamo un problema di accesso, semmai di eccesso. Specie in alcuni settori. Siamo un comparto in crescita e vitale che va sostenuto e non schiacciato. E questo è proprio il tema della crescita, caro al nuovo governo. Ripartiamo da qui. E riformiamo i cicli di studio perché il mondo universitario corrisponda sempre più alle reali esigenze del lavoro». (val. con.)