La riforma delle pensioni fa bene soprattutto alle casse dello stato. Per ogni anno di permanenza in più al lavoro, infatti, il rapporto tra quanto si paga in contributi e quanto fi nirà sulla pensione è di 1 a 18: 100 euro di pensione, cioè, per ogni 1.800 euro di contributi pagati. E la riforma Fornero-Monti ha costretto tanti lavoratori a rivedere i programmi sul pensionamento, allungando l’orizzonte della permanenza in attività da un minimo di un anno fi no a sei anni. Più lavoro, tuttavia, in cambio di magri guadagni in pensione e a tutti calcolati esclusivamente con il criterio contributivo. Per esempio, considerando un reddito o retribuzione di 20 mila euro annui, il dipendente che quest’anno è costretto a rimanere in servizio pagherà (solo per la pensione) 6.600 euro che gli consentiranno di guadagnare sulla futura pensione circa 28 euro al mese; il lavoratore a progetto pagherà 5.400 euro per ricavare in pensione 23 euro in più al mese; un artigiano o un commerciante pagheranno 4.260 euro per guadagnarci in pensione 18 euro in più al mese. Più lavoro più pensione? Probabilmente nessun lavoratore avrebbe scelto di rimanere a lavorare, se gli fosse stata data la possibilità di scegliere tra questa soluzione o quella di andare subito in pensione. Poco conveniente è infatti restare al lavoro, a 65 anni, per un anno intero al fine di guadagnare 20/30 in più al mese sulla pensione. E invece, a lavoro, in tanti dovranno restarci addirittura fi no a sei anni: dipende dalla propria storia lavorativa e dalla pensione che si mirava a maturare fi no all’anno scorso. Nella tabella in pagina è indicato, per differenti livelli di reddito annuo, il guadagno in termini di incremento della pensione mensile che il lavoratore ricava per la permanenza di un anno al lavoro (se gli anni sono più di uno si può moltiplicare l’importo per il numero di anni, sapendo di ottenere un risultato approssimativo). Un «terno» per i vecchi dipendenti. Se per la generalità dei lavoratori la manovra si traduce in maggior lavoro in cambio di un magro incremento della pensione, lo stesso non può dirsi per i dipendenti in età matura e con retribuzioni alte. Infatti, se non rientrano nel regime contributivo (se, cioè, fi no al 2011 si trovavano nel sistema misto o retributivo), non avranno limiti ai versamenti contributivi né per la misura della pensione, come invece vale in generale per il regime contributivo. Spieghiamo meglio. Il sistema contributivo prevede che i contributi siano versati fi no a un certo importo di retribuzione/compenso/ reddito annuo. Per il 2012 questo limite è di 96.107 euro; oltre non si pagano contributi e non si matura neppure la pensione. Perciò, il lavoratore che guadagna 200 mila euro all’anno, (da solo o con il suo datore di lavoro/committente) paga i contributi fi no a 96.107 e anche la sua futura pensione sarà calcolata sul corrispondente (ridotto) montante contributivo. Non è così (ecco l’interessante novità) per chi si trova nel regime misto o retributivo. Il passaggio dal 2012 al regime contributivo, infatti, vale solo come «criterio» di calcolo della pensione, non anche come sistema di contribuzione. Il che vuol dire che a tali lavoratori non si applica il tetto (cioè il limite di 96.107 euro); per cui se hanno una retribuzione annua di 200 mila euro vedranno accreditarsi il 33% di 200 mila euro, tutto a favore di una lauta pensione.