A margine dell’ordinanza del Gup di Roma, che ha deciso di rinviare a giudizio i partecipanti al tentativo di scalata di Bnl da parte di Unipol, vale la pena proporre alcune considerazioni. Anzitutto la distanza siderale della decisione di rinvio dai fatti (o presunti tali): sono passati quasi sei anni. Diritto ritardato è diritto negato, afferma un noto adagio. È l’immagine negativa di come funziona la giustizia in Italia, soprattutto quando si occupa di ipotesi di reati societari e finanziari: dire che in molti tribunali la necessaria professionalità latita, è un eufemismo. Ma l’aspetto meno rassicurante è che il Csm, l’organo di controllo dell’operato dei giudici, non interviene mai o quasi mai.

Di sicuro in questo caso non ha fatto sentire la sua voce. Eppure c’è un interrogativo di sostanza che vale la pena di porsi: non esiste forse un problema di «bis in idem» se si viene indagati-giudicati per la stessa operazione prima a Milano (dove è già stata emessa una sentenza) e poi a Roma (dove si va al dibattimento)? E se così stanno le cose, è corretto frazionare i procedimenti in modo da configurare, per esempio, l’ipotesi di aggiotaggio fino a un certo periodo di competenza di un tribunale e la stessa ipotesi, in un periodo immediatamente successivo, di competenza di un altro tribunale? Se prendesse piede una tale impostazione, il cumulo delle ipotetiche condanne cozzerebbe con i più elementari principi alla base della precostituzione per legge del giudice naturale. Perché dunque, di fronte a casi analoghi, i procedimenti non vengono riuniti? A tal proposito, non esiste, per esempio, un profilo di continuazione del presunto reato? Sono tutti interrogativi che, pur non essendo di certo l’ordinanza del Gup un provvedimento di condanna, ma soltanto un via-libera per il giudizio, meriterebbero una risposta. Anche da parte di esperti e cultori della materia, visto che nei tribunali è così difficile trovare risposte coerenti.

Quest’ultima, non è un’osservazione gratuita. Basti dire che lo stesso Gup ha pure deciso il non luogo a procedere, perché il fatto non costituisce reato (o, in un caso, addirittura perché il fatto non sussiste), nei confronti di alcune posizioni. Benissimo. Ma costoro, personalità impegnate ad alto livello nel mondo bancario e finanziario, hanno dovuto attendere tutto questo tempo per vedere riconosciuta la loro assoluta non colpevolezza. È civiltà, questa? Una domanda che giriamo senza indugio al vicepresidente del Csm, l’ottimo Michele Vietti. Fra le posizioni archiviate vi è quella dell’ex direttore centrale della Vigilanza, Francesco Frasca. Nelle cause relative alla vicenda Antonveneta e a quelle Unipol-Bnl trattate a Milano e a Roma, Frasca viene riconosciuto, come è più che giusto, del tutto innocente. Sicché un integerrimo dirigente della Banca d’Italia ha dovuto affrontare le grandi amarezze, nonostante fosse sicuro della correttezza del suo comportamento, e la grande fatica di questi anni per vedersi riconoscere, sei anni dopo, la sua non colpevolezza. Chi lo ripagherà di tutto ciò che è stato costretto a sopportare? Chi gli dovrebbe chiedere almeno scusa? Chi scriverà, questa volta in termini positivi, le tonnellate di articoli che hanno riguardato anche lui, a suo tempo scritti a toni foschi su queste vicende? Non si tratta di restituirgli l’onore, che egli non ha mai perso presso quanti lo conoscevano, ma di riconoscere gli errori di valutazione sulla persona e sul suo operato da parte della magistratura inquirente.

Dulcis in fundo (si fa per dire), la situazione dell’ex governatore Antonio Fazio, rinviato a giudizio. È un mistero eleusino come si possa giustamente e tuttavia con enorme ritardo scagionare Frasca e ritenere responsabile unico, una sorta di Atlante che fa tutto da sé, dall’a alla zeta, Fazio. Per di più, per una vicenda che non si concluse neppure con il rilascio dell’autorizzazione (da parte della Banca d’Italia) all’offerta diUnipol. Le stesse validissime ragioni alla base della decisione assunta per Frasca militavano anche per la posizione dell’ex governatore: solo il pregiudizio può indurre ad affermare il contrario. Ecco, allora, che occorre pensare ad altro, facendo peccato, ma molto probabilmente azzeccandoci.

Una notazione finale: paradossalmente l’ordinanza romana viene emessa proprio nel giorno in cui una larga parte della stampa scrive del rischio scalate (estere) alle quali sarebbero soggette diverse banche italiane, a cominciare da Unicredit. Vale davvero domandarsi in quale mondo vivano certi pubblici ministeri e certi Gup.