Rimettere al centro della professione le compagnie di assicurazione. Back to Insurance. Dopo un decennio di sconvolgimenti epocali dal punto di vista economico, climatico e sociologico il nono Convegno nazionale ANRA di mercoledì 9 novembre scorso ha voluto riportare sotto la luce dei riflettori il cuore

dell’attività del Risk Management: l’assicurazione e il suo rapporto con la professione di chi i rischi li deve programmare, gestire e trasferire. Come si sono mosse le compagnie assicurative? Che vie hanno intrapreso mentre lo scenario dei rischi cambiava rapidamente e secondo direzioni forse imprevedibili? Come si ripartiscono in questo nuovo contesto le funzioni così importanti per il mondo delle imprese e degli equilibri sociali? Che dialogo c’è tra il settore privato e quello pubblico, e all’interno del privato tra i vari soggetti coinvolti nella gestione del rischio?

Sono i principali quesiti emersi nell’ambito di un dibattito acceso, a tratti pungente, che ha messo sotto gli occhi dei tanti partecipanti che hanno affollato Palazzo Mezzanotte la necessità di confrontarsi per superare una serie di scogli che rischiano di generare una impasse negli equilibri dei ruoli.

Come da consolidata tradizione, la prima parte di questa nona giornata di lavori è stata dedicata al fare il punto della situazione.

I dieci anni che hanno cambiato il mondo dei rischi era il titolo della tavola rotonda organizzata in collaborazione con Chartis, Generali e Zurich. «Abbiamo parlato a lungo di governance negli ultimi anni.

Ci siamo allargati alle problematiche del ruolo dei Risk Manager nelle aziende, ma ora è il momento di tornare a quel particolare argomento che sono le assicurazioni», ha esordito il presidente di ANRA, Paolo Rubini, per entrare subito nel cuore della questione. Parlare di assicurazioni significa in questo momento

parlare soprattutto di rischi e sicurezza. Un equilibrio fragile, a maggior ragione alla luce della grande instabilità economica e politica che si è manifestata in questi ultimi anni, accentuatasi negli ultimi mesi. Una serie di interrogativi sul ruolo che gli attori pubblici e quelli privati hanno nei meccanismi di assunzione dei rischi in favore della sicurezza sociale, in primo luogo, sono arrivati dall’apprezzato intervento dell’assessore alle Politiche del lavoro, Sviluppo economico, Università e Ricerca del Comune di Milano,

Cristina Tajani. L’assessore ha portato il saluto del sindaco di Milano, Giuliano Pisapia, alla platea di Palazzo Mezzanotte. «Quali soluzioni in un mondo meno sicuro?, ci chiediamo oggi. Ma forse dovremmo parlare di un mondo diversamente sicuro. La sicurezza era data in passato da un combinato fra ruolo dello Stato e del privato. Le trasformazioni di questo mondo, che non sono solo politiche e naturali, ma anche interne al nostro capitalismo, hanno reso meno capace l’attore pubblico di farsi assicuratore nei confronti dei rischi sociali», ha sottolineato Tajani. «Queste trasformazioni obbligano anche il privato a cambiare strategia. Consapevole della difficoltà del pubblico di assumersi rischi, la mia domanda diventa: quanto ha voglia l’attore privato di assumersi sfide, che hanno a che fare anche con l’innovazione tecnologica? E quanto le compagnie assicurative e gli operatori hanno voglia di stare sulla frontiera del rischio?».

Che il momento storico sia importante, «perché da una parte le vicende economiche sono tribolate e dall’altra parte perché il tema del rischio è centrale dal punto di vista operativo e di sistema » è una convinzione anche di Enrico Guarnerio, presidente del Comitato tecnico scientifico di ANRA. Guarnerio ha illustrato i punti salienti del nuovo position paper dell’Associazione, dedicato agli Standard del Risk Management e l’Iso 31000, «un punto di riferimento importante al quale ispirarsi per definire regole comportamentali e di attuazione del piano di Risk Management ». La novità principale del documento è la definizione «del contesto di riferimento dal quale partire nella costruzione del piano di gestione del rischio per poi permearlo all’intera organizzazione aziendale. Definire il contesto entro il quale si opera aiuta a delineare i fattori interni ed esterni all’impresa (tra i quali il collocamento socioeconomico o quello dei rischi), la percezione del rischio e dei suoi criteri per attuare al meglio il progetto di gestione» (Il documento sarà presto disponibile sul sito dell’Associazione www.anra.it).

Un passaggio fondamentale alla luce dei cambiamenti repentini degli ultimi dieci anni, sottolineati anche  al Vicesegretario Generale e Chief Economist dell’Ocse, Pier Carlo Padoan, che si è collegato con Palazzo Mezzanotte per partecipare ai lavori dell’Associazione. «Veniamo da un vertice, quello di Cannes, dove sono stati fatti passi avanti importanti, ma dal quale rimane comunque la preoccupazione per la possibilità di una fase recessiva nell’area dell’euro», ha detto l’economista, che non ha escluso l’eventualità che «la situazione possa anche sfuggire di mano». Rivolgendosi direttamente alla platea di Risk Manager, Padoan ha sottolineato che «negli ultimi dieci anni abbiamo appreso che l’instabilità non è qualcosa che piove dal cielo, ma che gli stessi mercati possono generare se non si dotano di sistemi di sorveglianza adeguati». Quale la strategia da seguire allora, ha domandato il moderatore e direttore di Class Cnbc, Andrea Cabrini. «Accanto alle politiche monetarie e fiscali, uno spazio crescente dovranno avere le politiche macroprudenziali, che cercano di fermare le bolle speculative. Dobbiamo ancora imparare a usarle, ma è una scatola degli attrezzi aggiuntiva importante per i policy maker. Il sistema assicurativo deve aggiungere  i

suoi strumenti tradizionali i modi per controbattere l’instabilità endogena, difficile da valutare, ma che deve essere incorporata nelle analisi. Serve un po’ di analisi macroeconomica oltre a quella che gli istituti già fanno», è l’analisi di Padoan. Che ha lanciato due fronti d’azione: «In primo luogo bisogna costruire strumenti di gestione per i rischi sistemici. Bisogna poi affrontare i nuovi rischi e le nuove opportunità con risposte di politica economica. Viene in mente il cambiamento climatico e la crescita verde: c’è la consapevolezza del mondo economico sulla centralità di questi temi, bisogna favorire lo sviluppo in questo settore. Senza le scelte di politica economica questi temi andranno incontro a inevitabili strozzature».

Strozzature che potrebbero riguardare anche la professione dei Risk Manager, se non si riuscisse a  coinvolgere l’industria assicurativa in un percorso innovativo», come ha ricordato Rubini.

«Ne abbiamo bisogno, perché quando dobbiamo affrontare rischi di sistema e rischi interni dobbiamo rafforzare la funzione di controllo. Innovare significa anche assumersi responsabilità verso il mercato assicurativo. Non vogliamo sostenere l’atteggiamento piagnucoloso di chi pretende coperture senza dare in

cambio trasparenza e idee, per poi chiedere al mercato assicurativo di fare la sua parte». La consapevolezza di «non poter mettere la testa sotto la sabbia, ma di dover scommettere per ottenere risultati, senza fare tutto da soli» è arrivata da Axel Theis, Ceo di Allianz Global Corporate & Specialty. Theis ha ripercorso l’insieme di interferenze tra il mercato globale e quello assicurativo. Le crisi greca e italiana, il numero di eventi catastrofici che porteranno il 2011 a livelli record di danni (la tendenza ha portato i danni nel settore dai 5 miliardi del 1970 ai 40 del 2010, ma la fine di questo  esercizio sarà a livelli ancora superiori), la stretta normativa di Solvency 2 sono eventi epocali. «Sul mercato c’è capitale a sufficienza per gestire l’aumento del rischio? Abbiamo la capacità di reagire a questi eventi?» si è chiesto Theis.  

Di fronte a queste domande anche l’atteggiamento dei Risk Manager deve cambiare: «La copertura assicurativa non deve essere considerata come un bene qualunque, da trattare all’interno dell’azienda nell’ambito dei compiti dell’ufficio acquisti. Bisogna fare formazione, stare con gli occhi aperti. Questo vale

per i Risk Manager, per le aziende e per le compagnie». Sulla disponibilità di capitale all’interno del mercato

assicurativo ha insistito Paolo Vagnone, Country Manager di Assicurazioni Generali. «La situazione finanziaria degli ultimi tre-sei mesi è unica», ha sottolineato Vagnone.

«La volatilità è senza precedenti, non ci sono asset completamente risk free. I safe assets ormai hanno

costi elevati (si pensi al bund o ai tassi sulle assicurazioni svizzere).

Il rating di banche e assicurazioni è sempre più influenzato dal rischio del Paese in cui si opera». Una serie di elementi che portano alla diminuzione del capitale disponibile, proprio nel momento in cui la regolamentazione ne chiede di più. Elementi che implicano per un gruppo assicurativo la «revisione dell’appetito per il rischio, il concentramento e l’aumento del costo della capacità ad alto rating, la difficoltà di diversificare i rischi e la limitazione delle offerte su alcune linee.

In questo modo ci saranno sempre maggiori difficoltà nel capire i rischi e prezzarli, mentre ci saranno capacità di coprire rischi particolari e di nicchia, ma mai particolarmente abbondanti».

Un’industria assicurativa con le mani in parte legate, dunque, che nella seconda parte del convegno si è confrontata con il ruolo dei Risk Manager e dei broker. Rubini ha aperto i lavori lanciando una provocazione: «Il Risk Manager sta ampliando lo spettro di attività in azienda. È più un problema per l’industria assicurativa, che vede il suo peso ridotto, o un’opportunità perché aggiunge elementi di compartecipazione e rende più facile l’assicurabilità?»

Concordi su questo aspetto Nazareno Cerni, Corporate Manager di Assicurazioni Generali, e Saverio Longo, Ceo di Zurich Global Corporate Italia. «Il Risk Manager deve trovare i rischi che devono essere gestiti, trasferiti o supportati. La sua capacità dà stabilità alle operazioni dell’azienda e alla sua salute finanziaria», ha ricordato Cerni. Secondo Longo, «negli enti pubblici e nelle industrie ci sono ancora pochi soggetti qualificati con i quali intrattenersi per capire le problematiche reali. Ci sono una serie di metodologie ancora sbagliate e approssimative. In questo momento economico la necessità non è più conoscere l’industria nel suo complesso, ma il singolo cliente in maniera dettagliata». «Sarebbe un grande risultato

se ogni azienda avesse un Risk Manager», ha rincarato Marco Delle Vacche, Country Manager di Chartis Italia. A maggior ragione perché, stando a una ricerca di Aon del 2011, «i rischi che le aziende percepiscono maggiormente sono quelli legati alla crisi economica, alla regolamentazione e alla concorrenza », come ha sottolineato il Presidente di Aon Italia, Enrico Boglione. «Questo significa che la percezione dei rischi è cambiata profondamente: gli infortuni, l’interruzione del business e altre problematiche tradizionali hanno lasciato il posto a una nuova serie di rischi ». Un cambiamento epocale è avvenuto anche sul versante dei broker, come hanno sottolineato Guido De Spirt, Amministratore delegato di Willis Italia, e Flavio Piccolomini, Ceo Southern Euorope di Marsh. «Il ruolo del broker sta cambiando», ha esordito De Spirt. «Per anni è stato visto come quello che piazza i rischi e fa i servizi correlati. Ora sta diventando un risk advisor, si devono efficientare i servizi». È stato Piccolomini, concorde con De Spirt sul cambiamento di ruolo dei broker, a lanciare la provocazione al mondo assicurativo, sottolineando «la profonda e grave carenza di capacità assicurativa e riassicurativa». La «necessità di remunerare il capitale» è però un vincolo fondamentale al quale hanno fatto riferimento sia Cerni che Longo, che ha ribadito la necessità di una  maggiore professionalità, di dati certi sui quali operare. Le compagnie non devono essere approcciate come una materia prima ma come un operatore che ha un ruolo importante perché di fatto garantisce una linea di credito all’azienda». Su questo aspetto ha mosso un appunto De Spirt: «Una compagnia non può lamentarsi di essere considerata una commodity e poi mettere davanti a tutto la remunerazione del capitale». Una via mediana è stata indicata da Boglione, che ha visto come «legittima la scelta delle assicurazioni di tirarsi indietro di fronte all’opzione di assicurare certi rischi mal gestiti. Ma è in quella fase che deve intervenire allora il broker-consulente, che deve aiutare l’azienda a determinare il rischio, quantificarlo e creare strumenti di gestione diversi da quelli tipici dell’assicurazione».

«Non credo che le assicurazioni possano tirarsi indietro, il mercato sta chiedendo loro di mettere capitali a disposizione. La domanda c’è già, soprattutto sul fronte dei prodotti innovativi. Certo ci sono errori nei modelli di tariffazione, dobbiamo essere disposti a pagare il prezzo dell’incertezza del rischio. Ma vedo che spesso sul mercato queste offerte non si trovano», ha sottolineato Rubini.

Il cambiamento, dunque, del rischio e dei rapporti nell’industria della gestione del rischio ha aperto nuovi fronti, che devono portare alla ridefinizione dei ruoli all’interno della catena Risk Manager-broker-

assicuratori. Ma un punto di partenza fondamentale è stato richiamato in chiusura di convegno da Jorge Luzzi, socio di ANRA da poco eletto presidente di FERMA: «Il problema del mercato è che nei rapporti tra tutti e tre i soggetti a volte hanno prevalso delle falsità. La base per costruire l’innovazione sarà quindi l’eliminazione delle “bugie” tra di noi».

Fonte: ANRA newsletter – risk management news – dicembre 2011