di Gaia Giorgio Fedi

SOCIETÀ AL BIVIO Tempi difficili per Fondiaria-Sai, che in attesa che passi la buriana dei mercati ha dato mandato a Goldman Sachs per studiare le varie «ipotesi di patrimonializzazione perseguibili» e nel frattempo ha anche lanciato un amo a Clessidra e ad altri fondi di private equity. Un riassetto azionario, a questo punto, non è però soltanto un’ipotesi di fantafinanza, ma una necessità: occorre rafforzare il capitale, e la famiglia Ligresti, che controlla la società tramite Premafin, non ha le risorse necessarie a mettere il bilancio in sicurezza. E, come confermano gli analisti interpellati da B&F al riguardo, con i numeri che ha adesso Fondiaria-Sai non può andare avanti.

RISERVE INADEGUATE. A detta degli esperti il problema principale del gruppo assicurativo sta nelle riserve, frutto della miopia di passate politiche di sottoriservazione «che avevano consentito, in anni di bull market, l’emersione di utili generosi, sui 500 milioni l’anno – commenta un analista che chiede di non essere citato – Questo ha portato a conseguenze negative quando il ciclo macro si è invertito». E, spiega ancora l’esperto, mentre per esempio società come Generali e Cattolica hanno limitato i danni, testimoniando così che le riserve erano state fatte con prudenza, altre come FonSai (ma anche Unipol) hanno avuto maggiori problemi, suggerendo così una sottostima dei sinistri. Ma Unipol sembra aver fatto qualche passo in più nella pulizia dei bilanci, tanto che il reserve ratio, che misura la capienza delle riserve tecniche rispetto al giro d’affari, risulta più alto rispetto a quello di FonSai. La società di casa Ligresti non ha comunque grandi problemi dal punto di vista degli investimenti finanziari: ha una forte esposizione sui bond e in particolare sui titoli di Stato (si guardi grafico in basso) che però non evidenzia particolari mismatch, mentre l’esposizione sull’equity preoccupa non tanto per le dimensioni, quanto per la concentrazione su pochi titoli. In pratica, si tratta di partecipazioni di natura più «politica» in senso ampio che finanziaria, di appartenenza al cosiddetto salotto buono (Rcs, Pirelli, Mediobanca, Unicredit, Italmobiliare), con scarsa diversificazione (non c’è per esempio alcuna esposizione sulle utility, che in tempi di magra come questi almeno garantiscono cedole generose). In più l’Isvap, che in passato ha spesso chiuso un occhio nei confronti del gruppo guidato da Emanuele Erbetta, ormai da qualche tempo è in pressing affinché FonSai rafforzi il capitale. La soluzione proposta di recente (creazione di una newco in cui far confluire le partecipazioni finanziarie, partecipata da Credit Suisse fino al 40%) è stata rigettata dagli uomini dell’Authority presieduta da Giancarlo Giannini, e in effetti «si sarebbe trattato di una semplice operazione di facciata, che non avrebbe rafforzato strutturalmente il capitale del gruppo», prosegue l’analista. E in pressing ci sarebbe anche Mediobanca, che con la compagnia di casa Ligresti è esposta per 1,050 miliardi di euro e secondo indiscrezioni avrebbe sollecitato un rafforzamento del capitale fino a 600 milioni. «Non è una cifra insensata – osserva l’analista facendo qualche calcolo – Con 500 milioni il margine di solvibilità (che corrisponde al patrimonio al netto degli elementi immateriali, ndr), che adesso dovrebbe essere intorno al 105%, crescerebbe di una ventina di punti, quindi al 125% (sopra il limite di sicurezza del 120%); con 600 milioni andrebbe ancora meglio perché salirebbe al 128%, a ridosso della soglia del 130%».

STRADE OBBLIGATE. Il 23 il cda della compagnia esaminerà le opzioni possibili per rafforzare il capitale, un obiettivo ormai imprescindibile. Sul tavolo potrebbero esserci delle dismissioni, per esempio della quota in Igli (la scatola che controlla Impregilo) o un prestito convertendo: operazioni che consentirebbero ai Ligresti di non diluirsi nel capitale e non perdere così il controllo sulla compagnia. Ma, secondo alcuni, l’ipotesi per esempio di un convertendo potrebbe incontrare l’opposizione di Unicredit (autore del salvataggio del gruppo la scorsa primavera, in cambio del quale ha avuto una quota vicina al 7% del capitale), che schiera in cda ben tre rappresentanti (oltre al dg Piergiorgio Peluso, che non siede nel board). «Più probabile – continua l’analista – che il rafforzamento passi per la strada di un aumento di capitale, nell’ordine appunto di 500-600 milioni». Ma una ricapitalizzazione del genere, viste le attuali esangui quotazioni di Borsa (venerdì, al termine del rally innescato dalle indiscrezioni sui contatti con i fondi di private equity, il titolo scambiava poco sopra 0,78 euro), comporterebbe di fatto la perdita del controllo per la famiglia Ligresti. «Premafin non ha cassa, oltre alla partecipazione in FonSai ha poco altro, il Nav è negativo da tempo e ha oltre 300 milioni di debiti; quindi non avrebbe risorse da impiegare nell’aumento. E la sua quota potrebbe di conseguenza ridursi, dall’attuale 35% al 7-10%». A quel punto, Premafin potrebbe vendere i propri diritti, qualcuno potrebbe comprarli e assumere il controllo della compagnia, a meno di un intervento di Unicredit.

LIGRESTI VERSO L’USCITA? Che il futuro di FonSai possa essere senza i Ligresti è un’opinione condivisa da un altro analista, esperto di assicurazioni: «Già l’aumento precedente aveva assunto dimensioni enormi e di fatto aveva triplicato il numero di azioni. Anche questo sarebbe un aumento monstre, e i Ligresti non potrebbero permetterselo. Potrebbero però coinvolgere dei fondi, che potrebbero impegnarsi a sottoscrivere il grosso dell’aumento di capitale», aggiunge. Ma anche il secondo analista ritiene che la società non abbia i numeri per continuare: «A fine anno avranno un risultato netto negativo, il combined ratio dovrebbe migliorare ma resterebbe comunque tra i peggiori tra le società assicurative italiane. Eppure – aggiunge – c’è del valore nascosto nella società, che è uno dei primari operatori assicurativi in Italia, ha una rete distributiva forte e un brand conosciuto. Se i Ligresti si facessero da parte ci sarebbero molti player stranieri ben contenti di potersela comprare, come Allianz o Zurich». Ma la società è tecnicamente fallita? «La società sta affondando, ma non la si può lasciar fallire. Sarebbe uno choc per tutte le assicurative italiane».