di Luca Insalaco 

 

Il ministero dell’interno è stato condannato a risarcire un migrante, infortunatosi all’interno del centro di primo soccorso e accoglienza (Cpsa) di Lampedusa.

I fatti risalgono al 2008, quando l’immigrato era ospite della struttura dell’isola, facente capo alla prefettura di Agrigento e in quel periodo gestita dal Consorzio LampedusAccoglienza srl.

Durante il sonno lo straniero, già provato dai traumi della migrazione, cadeva dal suo letto a castello, che non era munito delle necessarie sponde laterali di protezione. La conseguenza dell’incidente era la frattura del collo dell’omero e la lussazione del gomito, diagnosticate dal locale pronto soccorso. Per tale infortunio il migrante, difeso dall’avv. Angelo Raneli, citava in giudizio il ministero dell’interno e l’ente gestore, chiedendone la condanna in solido per il risarcimento dei danni non patrimoniali subiti. A sostegno delle proprie ragioni, quindi, lo straniero produceva i referti medici e la testimonianza di un altro ospite della struttura all’epoca dei fatti.

Il tribunale di Palermo (sent. n. 5667/2014) ha giudicato provato sia il danno che il contatto sociale e ha ritenuto che l’assenza delle barre di contenimento nei letti a castello, circostanza confermata anche dall’allora direttore del centro di accoglienza, rappresentasse «una situazione di potenziale pericolosità per gli ospiti della struttura». Da qui la condanna del ministero dell’interno ma non quella del Consorzio LampedusAccoglienza, considerato che, si spiega nella motivazione, è il Viminale a occuparsi della fornitura di letti e materassi al Cpsa.

Il pronunciamento appare di particolare importanza, in primo luogo per la sua ratio dedicendi. La motivazione prende le mosse dall’assimilazione tra i centri di primo soccorso e accoglienza e le strutture sanitarie, in capo alle quali sorge una responsabilità di tipo contrattuale. La vicenda esposta, poi, richiama la stretta attualità. Recentemente la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per i trattamenti inumani e degradanti riservati a tre tunisini, trattenuti proprio nel centro lampedusano nella primavera del 2011. La struttura siciliana, tra l’altro, è il primo hotspot entrato in funzione in Italia.

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