Pagine a cura di Luigi dell’Olio  

 

Smaltita l’emozione dei commenti a caldo, si comincia a ragionare sulle ricadute che il quantitative easing potrà avere sull’economia reale dell’Eurozona. Perché, dato per assodato l’impatto positivo sui mercati finanziari e sui bilanci delle banche, è sulle ricadute per famiglie e imprese che si gioca la partita vera, quella della ripresa capace di coinvolgere consumi e occupazione.

 

Le ricadute attese. Paolo Guida, vice presidente di Aiaf (Associazione italiana degli analisti e consulenti finanziari), spiega che la decisione della Bce di acquistare da marzo prossimo a settembre del 2016 titoli per 60 miliardi di euro al mese avrà due effetti sicuri: immissione di liquidità nel sistema, «che consentirà una riduzione dei tassi di rendimento nei mercati, un sostegno alle borse e una maggiore disponibilità di risorse per le banche». In secondo luogo una riduzione del premio al rischio dei titoli di Paesi periferici, con benefici per le casse pubbliche. Senza dimenticare l’effetto sul tasso di cambio (già nelle ultime settimane l’euro ha perso quota rispetto al dollaro proprio in previsione del quantitative easing), che favorisce la competitività dei prodotti europei nella competizione internazionale. Questo dovrebbe dare una spinta ai conti delle aziende dell’Eurozona e, verosimilmente, produrre benefici in termini occupazionali. Rete Imprese Italia si attende da questa misura una forte spinta alla ripresa: «Si tratta di un intervento necessario», commentano dall’associazione, soprattutto se si considera il processo deflattivo in atto e la debolezza della domanda. «A medio termine il quantitative easing potrebbe sostenere anche un incremento degli investimenti pubblici, e rendere meno gravoso il costo del nostro ingente debito pubblico».

Una spinta all’inflazione. Un giudizio positivo viene espresso anche da Claudia Segre, segretario generale di Assiom Forex, per la quale «Draghi supera le aspettative e mostra di comprendere appieno le difficoltà congiunturali europee con una manovra importante nei numeri e nelle forze messe in campo». In particolare, l’esperta sottolinea il focus sull’inflazione, che la Bce punta a rilanciare (l’obiettivo statutario resta il 2% circa) attraverso questa abbondante immissione di liquidità. Infatti, allorquando (come sta accadendo oggi) i prezzi si raffreddano, si tende a rimandare gli acquisti, in attesa di nuovi ribassi. Così facendo, le aziende sono costrette a ridurre la produzione, e quindi licenziano. Di conseguenza lo Stato si trova con meno incassi da tasse e con la necessità di allargare i cordoni della spesa per il sostegno al reddito. In sostanza, si produce un circolo vizioso, dal quale diventa difficile tirarsi fuori, come dimostra il Giappone, rimasto in deflazione per circa 20 anni.

Anche per Andrea Menescardi, responsabile ufficio studi di Sofia Sgr, la decisione della Bce va nella direzione annunciata di favorire l’inflazione nell’Eurozona. Ma ricorda che «in un mondo piagato dall’eccesso di offerta e dal rischio deflazione, la politica monetaria e di riflesso il Qe da soli non bastano, occorrono anche le riforme strutturali». Guardando all’Italia, Menescardi giudica positivamente il Jobs act, ma avverte che «molto da fare sul fronte della riduzione del costo del lavoro».

Qe2 in vista? Secondo Sergio De Nardis, chief economist di Nomisma, si tratta di un passo che va nella giusta direzione, per quanto occorra attendere per un giudizio adeguato sull’ammontare previsto. «Però, come ha fatto anche la Fed, il Qe può essere tarato meglio e rafforzato se occorre in corso d’opera», precisa l’esperto. Che tuttavia critica la limitata condivisione dei rischi (al 20%, mentre il restante 80% sarà a carico delle banche centrali nazionali). La delusione per il nodo dei rischi è condivisa da Olivier Arpin, economista di Union Bancaire Privée, per il quale è comunque positiva la promessa di Mario Draghi di continuare con queste misure «finché non vedremo un adeguamento sostenuto del carovita». In sostanza, l’aspetto più importante è aver superato le resistenze dei rigoristi a oltranza, quelli che rifiutavano l’avvio del quantitative easing. Dopo di che la portata della misura potrà essere tarata nel tempo, magari rafforzandola se si avrà la sensazione di una limitata trasmissione dello stimolo monetario dai mercati finanziari e dai bilanci delle banche (che potranno vendere i titoli di stato attualmente in pancia, traendo benefici per i loro conti) all’economia reale. Pur nella consapevolezza, e lo stesso Draghi lo ha ribadito più volte, che non può bastare l’intervento della Bce a rilanciare l’economia nell’area, se di pari passo non si procederà con le riforme su base nazionale per rilanciare i consumi e l’occupazione.

A questo proposito Pietro Giordano, presidente nazionale dell’Adiconsum, esprime apprezzamento per la decisione della Bce, ricordando che il quantitative easing libererà liquidità per circa 1.100 miliardi per il sistema bancario europeo. «Ci auguriamo che questo contribuisca a riaprire i canali di finanziamento per imprese e famiglie», spiega.

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